Le pratiche agronomiche nella coltivazione di tartufi
Le pratiche agronomiche nella coltivazione di tartufi
Le pratiche agronomiche nella coltivazione di tartufi, rigore di termini si dovrebbe parlare di coltivazione di un fungo, del quale si desidera produrre il carpoforo commestibile, qualora questo prodotto fosse ottenibile a piacere applicando pratiche agronomiche ben definite che ne consentano una produzione di qualità, rapida, abbondante e regolare. In questo senso la coltivazione dei tartufi non è che all’inizio, in quanto solo il Tuber melanosporum può essere coltivato in senso agronomico del termine, mentre la coltivazione delle altre specie richiede ulteriori approfondimenti. Sulla base delle osservazioni concrete consolidatesi con la tradizione ma anche delle sperimentazioni condotte sulle tartufaie appositamente impiantate dagli Istituti di ricerca che operano nel settore, si è in grado di fornire un quadro delle principali pratiche agronomiche applicabili nella coltivazione dei tartufi. Queste vanno dai lavori di preparazione del terreno per l’impianto della tartufaia, alle cure necessarie per mantenere (o eventualmente correggere) e far evolvere le situazioni in senso favorevole alla fruttificazione del micelio e quindi alla produzione dei tartufi. I punti essenziali a cui è bene attenersi per intraprendere la coltivazione dei tartufi sono i seguenti:
1) la scelta del terreno e del luogo d’impianto;
2) la scelta della pianta simbionte e del tipo di tartufo da coltivare in funzione delle condizioni dell’ambiente;
3) le tecniche di impianto;
4) le lavorazioni del terreno e le cure colturali alla tartufaia;
5) la raccolta non distruttiva nello spazio e nel tempo.
Nelle zone a vocazione tartuficola i luoghi dove normalmente vengono trovati i tartufi, sono sicuramente stazioni favorevoli per l’impianto. In mancanza di queste condizioni un buon orientamento è dato dalla verifica dei caratteri geopedologici e climatico-vegetazionali della stazione, ricavabili da apposite carte (carta geologica, pedologica, etc). Trattandosi comunque di impianti specializzati è sempre consigliabile un’analisi dettagliata del suolo che ne metta in evidenza le caratteristiche chimiche e fisiche che possono essere variabili da un punto all’altro dell’appezzamento; in particolare per giudicare l’attitudine di un suolo alla tartuficoltura vanno analizzati il pH, il tasso di calcare totale e attivo, la tessitura, la capacità di ritenzione idrica, il tenore in sostanza organica, in azoto, in fosforo, in potassio, in calcio e in magnesio. Si possono certamente escludere dall’impiego per la tartuficoltura quei terreni che presentano: una profondità talmente esigua da non permettere lo sviluppo radicale delle piante (minore di 10 cm); una assenza completa di calcare e di calcio e un pH acido; una tessitura ed una struttura fortemente squilibrata con una composizione minerale che presenta grossi eccessi o carenze di elementi essenziali.