Il desiderio di un tartufaio – Racconto

Il desiderio di un tartufaio

Carmela filava per il sottobosco scartocciando foglie secche e
scodinzolando felice. Alfio procedeva con calma, arrancando
ogni tanto col suo bastone. Da quando sua moglie se n’era
andata, quella fagottina bianca e marrone era diventata una
compagna dolce e preziosa. Il vecchietto la seguiva con sguardo
vigile mentre lei saettava tra coni di pulviscolo dorato,
spazzando i cespugli e scacciando sgargianti farfalle che
turbinavano come coriandoli impazziti. Finché la cagnetta si
fermò ad annusare vicino a una grossa quercia, scavando e
lanciando prepotenti guaiti. Alfio accelerò il passo per quanto
poté, con un larghissimo sorriso stampato in viso: sarebbe stato
un tartufo portentoso, da fare invidia, la mattina dopo, a tutti gli
amici del bar!
«Cos’hai trovato, bella?» La accarezzò e la scostò dolcemente,
dandogli subito il premio. Lì per lì rimase
stupito.

Osservava il terriccio smosso senza osare allungare la
mano. Non era un tartufo, somigliava piuttosto a un guscio di
noce, ma era grosso quanto un pugno e di un vivido color
azzurro. Carmela, finito di leccarsi i baffi, osservava anche lei
l’insolito ritrovamento con la coda e le orecchie dritte. Alla fine
Alfio si decise e lo raccolse dalla piccola conca interrata. Lo
rigirò fra le mani cercando di farsi un’idea su cosa potesse
essere, finché a un tratto lo strano guscio si aprì con un crepitio
secco, come di rami spezzati. L’esserino raggomitolato
all’interno aprì gli incantevoli occhi verdi, dispiegò un paio
d’alucce eleganti e variopinte e si librò fulminea in aria,
atterrando ai piedi dell’esterrefatto Alfio. La cagnetta, guardinga,
era indietreggiata di qualche passo.

«Ciao umano. Io sono Alisia, una fatina del bosco. Visto che mi
hai svegliato dal letargo hai diritto a un desiderio.»

Alfio e Carmela si scambiarono un’occhiata come a dire che non
poteva essere vero, non stava succedendo veramente.
«Allora?» La fatina guardava ora l’uomo ora la cagnetta,
ravviandosi ogni tanto la splendida chioma che le arrivava fino
ai piedi.

Nella mente del vecchietto esplosero milioni di scenari e
possibilità; si accendevano come immagini illuminate da fuochi
d’artificio: barche, auto, viaggi in capo al mondo…
Poi di colpo… «Voglio un olfatto sovrumano, potentissimo e
sopraffino, per scovare i migliori tartufi della regione!» esclamò
raggiante.
«E sia!» sentenziò la fatina; sbatté gli occhi, batté due volte le
mani e volò via scomparendo fra le fronde.
Quando rincasarono e Alfio si guardò allo specchio, partì un urlo
che atterrì tutto il vicinato: la sua immagine riflessa era bianca e
sgualcita come un cencio e tra i folti baffi e la spaziosa fronte
rugosa, spuntavano due enormi nasi.

Scritto da Salvatore Di Sante