I profumi del bosco: anche il tartufaio deve avere fiuto
Abbiamo già parlato numerose volte dell’importanza che ricopre l’osservazione nella cerca dei tartufi. Di fatti la prima cosa che si fa nella macchia è quella di scrutare la sua vegetazione, non solo gli alberi simbionti, ma anche gli arbusti commari e le erbe spontanee. E se indiscutibilmente il tartufo rappresenta un icona per i buon gustai, chi ha il compito di andarne in cerca deve fare affidamento anche su gli altri sensi, compreso l’olfatto che erroneamente si pensa debba avere solamente il cane. Basta pensare a quante volte ci ritroviamo con naso su una buca appena aperta dal nostro gregario o con un pugno di terra sul palmo della mano per sincerarci che siamo andati a segno.
Ebbene si, i profumi e gli aromi che ci circondano nel bosco mentre siamo a tartufi ricoprono un ruolo rilevante che merita di essere approfondito.
Per fare questo non possiamo non citare la memoria olfattiva: L’olfatto è da sempre uno dei sensi più misteriosi e la sua forte relazione con la memoria rende potentissime le sue capacità. Le immagini olfattive, infatti, a differenza di quelle visuali, riescono a rimanere intatte nel tempo, senza svanire, riuscendo a riaffiorare nitide anche a distanza di molti anni. Tant’è che un tartufaio esperto fa affidamento sul suo fiuto per capire, in caso di dubbi, che specie di tartufo ha appena cavato.
Un elemento di particolare rilievo per lo sviluppo del tartufo è senz’altro rappresentato dalla pioggia, e solo Dio sa quante volte, in questa estate rovente, abbiamo messo il naso all’insù con la speranza che piovesse. Quello che non tutti sanno, però, è che l’odore che emana la terra secca mentre piove ha addirittura un nome: Petricore