Il terreno ideale per la micorizzazione

Il terreno ideale per la micorizzazione

Il terreno di varia natura (argilloso, argilloso-limoso, franco, franco-sabbioso, etc.) a seconda del tipo di tartufo da inoculare, deve comunque essere ben aerato, con un minimo di calcare, con un pH da neutro a sub-alcalino, un tasso di sostanza organica sufficiente ma non troppo elevata, non molto fertile e non squilibrato dal punto di vista chimico. Per i tartufi neri si sono rilevati adatti terreni molto sciolti ricchi di scheletro e con una certa percentuale di argilla;per il tartufo bianco invece terreni franchi o franco-sabbiosi che, pur presentando una discreta porosità, hanno una buona coesione fra le particelle primarie. In genere per la produzione su vasta scala di piantine tartufigene si utilizza un terreno prelevato in zona tartuficola.

La vermiculite e l’agriperlite sono dei substrati minerali di tipo micaceo resi inerti perché preparati in forni ad altissime temperature. Data però la loro completa disidratazione e l’assenza di elementi nutrizionali, alle piantine coltivate in questo substrato devono essere fornite appropriate soluzioni nutritive, che vanno adeguatamente formulate nei macro e micro elementi a seconda del tartufo inoculato. Il melfert è un tipo particolare di substrato composto da corteccia vegetale macinata, torba bianca, cenere di lignite ed un concime complesso ad effetto ritardato, il tutto contenuto in un involucro di tessuto non tessuto (non biodegradabile) che viene arrotolato intorno alla piantina (foto 15). Per utilizzare questo involucro nella produzione di piantine tartuficole occorre adattare il substrato, genericamente elaborato per le piante forestali, al tipo di tartufo prescelto dotandolo soprattutto di calcare ed innalzandone il pH.

Tutti questi substrati, soprattutto se si tratta del terreno, devono essere preventivamente sterilizzati; ciò viene fatto o con vapore fluente, per un’ora a 90°C di temperatura e ripetendo l’operazione a distanza di una quindicina di giorni, o anche con bromuro di metile lasciando per tre o quattro giorni i cumuli di terra sotto dei teli di nylon ove è stato insufflato tale gas. La sterilizzazione con bromuro di metile è di gran lunga la più efficace ma presenta l’inconveniente di essere pericolosa per la tossicità del gas impiegato e pertanto va effettuata solo da personale appositamente addestrato.In considerazione di ciò, solitamente si ricorre al vapore fluente impiegando appositi generatori dotati di erpici insufflatori che vengono infilati dentro un cassonetto metallico contenente il substrato da sterilizzare.

La sterilizzazione del substrato, qualunque esso sia, deve essere accurata per distruggere solo le spore dei funghi micorrizogeni antagonisti al tartufo e non indistintamente tutta la microflora del terreno. Il substrato, una volta sterilizzato, va fatto “riposare” per dar modo agli eventuali prodotti tossici, generatisi con il surriscaldamento, di dissolversi e consentire alla microflora utile di ricolonizzare il substrato prima che questo venga impiegato nel riempimento dei contenitori. Fra i vari substrati e per quanto riguarda la loro idoneità nella produzione vivaistica di piantine tartufigene va detto che i terreni naturali pur essendo di difficile sterilizzazione presentano le caratteristiche migliori sotto il profilo nutrizionale e di resistenza alla penetrazione delle radici; contrariamente vermiculite e agriperlite, hanno il difetto di non opporre una sufficiente resistenza all’avanzamento dell’apparato radicale che velocemente e scarsamente ramificato, quindi con pochi apici potenzialmente micorrizabili, raggiunge il fondo del contenitore. Inoltre questi substrati possono creare un ambiente eccessivamente aerato se troppo asciutti, o ecccessivamente asfittico se troppo bagnati.

Il melfert è un substrato idoneo soprattutto per la produzione di piantine inoculate con tartufo nero, mentre non sono ancora reperibili formulazioni già studiate e sperimentate per il tartufo bianco. Il maggior inconveniente di questo substrato-involucro è che al momento del controllo dell’avvenuta micorrizazione, la liberazione delle radici dal tessuto provoca una grandissima perdita di apici radicali micorrizati. Inoltre il melfert non è molto adatto per impianti in zone a clima con elevata siccità per la sua facile disidratazione.

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