Racconto: Intervista a sua maestà Magnatum Pico

Una fantasiosa intervista realizzata da Gianluigi Ciamarra a sua maestà Magnatum Pico in attesa di essere messo all’asta.

« Maestà – esordii, scoperchiando la campana di vetro che lo proteggeva –, un lungo viaggio il Suo. Dal Molise al Giappone ……. Mi racconti la Sua storia».
«Un po’ lunga e tormentata. Sono un fungo (ipogeo, perché, a differenza degli altri funghi, viviamo sotto terra) e non un tubero, come comunemente ci si ostina a chiamarci; sono nato nel mese di agosto in Molise, una piccola regione del centro-sud dell’Italia, in un boschetto di querce e pioppi dopo improvvisi temporali estivi. Ad ottobre ho cominciato a maturare e ad emanare il mio profumo. Fortunatamente mi trovavo ad una certa profondità nel terreno, a circa 90 centimetri, ragion per cui i tanti cani addestrati alla ricerca non avvertirono subito la mia presenza».
«Era da solo in quella zona?».

«No, vi era una famiglia di bianchi – quattro esemplari uno accanto all’altro in un ristretto spazio – a poca distanza da me, alimentati dallo stesso pioppo che allungava di molto le sue radici. Loro hanno avuto vita breve, perché presenti pressoché in superficie e già nella prima giornata di raccolta furono individuati ed estratti. Ancora più in là erano aggregati alcuni esemplari di Tuber macrosporum (tartufo nero liscio): tra noi bianchi e loro neri si è instaurato un ottimo rapporto di convivenza nel reciproco rispetto delle proprie aree di crescita e delle proprie esigenze».
«Quindi?»

«La mia naturale difesa contro il pericolo dei cavatori consisteva nell’emettere solo a intermittenza il mio profumo, nella speranza che non si avvicinasse un buon cane con un esperto cercatore. Resistetti per molti giorni, fin quando, a metà dicembre, dopo una nottata “insonne” per il via vai di tartufai che anche di notte, contro le regole stabilite, percorrevano il bosco in lungo e in largo, avvertii un rumore sordo e continuo, tipico del raspare di un cane.

“Ci siamo – pensai -; temo che a breve vedrò la luce”. Un autentico terremoto il frenetico scavo di quel lagotto: radici strappate, inarrestabile voglia di arrivare alla “preda”.

Sentivo la voce del suo padrone invogliarlo incessantemente:

“Dai, dai, Luna; dov’è, dov’è? Dai, che ti do il contentino. Brava, Luna, brava, dai, dai”.

Capii che non c’era più scampo, ma d’altronde prima o poi sarebbe dovuto accadere. Fortuna volle che incappai in un vero cercatore di tartufi, di quelli che è raro oggi incontrare, il che mi permetterà di rinascere ».
«In che senso? Cosa vuole dire?»

«Nel senso che il mio trovatore dopo avermi estratto con molta fatica (l’ho fatto dannare, modestia a parte), ebbe molta cura nel rimettere nello stesso punto la terra rimossa intorno al mio corpo fruttifero e di ricoprire la profonda buca cavata con l’altra terra rimasta, così permettendo che le radici da cui ho preso nutrimento non si seccassero e che io potessi per ciò riprodurmi».

«Poi che successe?».

«Paradossalmente, dopo aver sentito gli entusiastici apprezzamenti fatti su di me all’atto dell’estrazione, non mi dispiacque di essere stato raccolto (d’altronde, il più delle volte è il nostro destino). Il tartufaio mi prese con molta dolcezza, carezzandomi e compiacendosi del mio profumo e del mio peso (1 chilo e centotrenta grammi), riponendomi poi con delicatezza nel suo sacchetto di panno dopo avermi fatto annusare a Luna, per condividere con lei il piacere di quella emozionante cattura. Dopo di che fui portato presso alcuni raccoglitori, nel tentativo, immaginai, di essere venduto al prezzo più alto possibile; venni adagiato più volte su varie bilance, fin quando fui lasciato dal mio rinvenitore ed iniziai un lungo viaggio che mi portò in varie località – Alba, Acqualagna ed infine qui a Tokyo -, in questo ristorante dove mi trovo momentaneamente in bella mostra, in attesa di essere posto all’asta, per beneficenza, domani, in occasione di una elegante serata di gala . Credo di aver fatto trascorrere un buon Natale a chi mi ha trovato, considerando che, per quanto ho potuto capire, ho avuto un costo di 15.000 euro e che il prezzo finale, per l’asta di beneficenza, si aggirerà intorno ai 200 mila dollari».

«Quali conclusioni, allora, sulla Sua (breve) esperienza terrena, pardon, sub-terrena?»

«Nel comune interesse della mia specie (per la nostra sopravvivenza) e di quello dei cercatori, mi sento di dover consigliare la massima attenzione ed il massimo rispetto per le zone in cui viviamo, vale a dire per le aree incolte, nei boschi e nelle loro adiacenze, lungo il fossati alberati: in tali luoghi la nostra presenza è assicurata, naturalmente con le condizioni favorevoli condizioni climatiche e meteorologiche e in presenza di altri fattori. Non a caso si dice che siamo le “sentinelle dell’ambiente”, nel senso che lì dove cresciamo noi, la Natura è incontaminata.
Particolare attenzione va, inoltre, prestata al taglio degli alberi, le cui radici sono il nostro nutrimento: un disboscamento indiscriminato, senza una preventiva mappatura delle piante tartufigene rischia di compromettere definitivamente la fecondità di vaste zone, poiché così facendo, per dirla come voi umani, ci tagliereste i viveri …
Un grave problema riguarda, poi, i nostri amici neri: essi, per il fatto di vivere in superficie e di lasciare segnali della loro presenza – i cosiddetti pianelli, dove si secca l’erba sottostante alla chioma dell’albero -, sono oggetto di raccolta effettuata con mezzi illeciti (zappe, rastrelli) che danneggiano irrimediabilmente il loro habitat. Per fortuna noi bianchi non abbiamo di questi problemi».

«Bene, La ringrazio per la disponibilità, Maestà, e Le auguro un buon successo per l’asta di domani»

«Sono io a doverLa ringraziare per aver avermi dato la possibilità di far conoscere meglio il nostro magico e misterioso mondo. Per quanto riguarda domani, farò del mio meglio per stupire i presenti, inebriandoli del mio profumo. Mi saluti i boschi del Molise».
Gianluigi Ciamarra