Pippo e Bagaretta i pionieri del Lagotto Romagnolo

Pippo e Bagaretta i pionieri del Lagotto Romagnolo

Pippo e Bagaretta i pionieri del Lagotto Romagnolo – Già a partire dal 1920 il Lagotto era ben conosciuto nelle valli dell’Appennino Romagnolo, valle del Senio, del Lamone e particolarmente nella valle del Santerno (in località Casalfiumanese) dove il barbiere Pippo e il suonatore ambulante d’organino Bagaretta cominciarono ad allevare (il primo) ed a diffondere e far conoscere (il secondo) il cane riccio delle paludi, ormai diventato espertissimo cercatore di tartufi.

Pippo,al secolo Peppino Passi, non disdegnava di andare spesso a tartufi con le sue femmine bianche di Lagotto. I suoi esordi con la razza risalgono alla fine degli anni Venti quando, ancora ragazzino, iniziò a seguire nei boschi i tartufai d’allora, fra cui appunto Bagaretta. Nelle colline imolesi il tartufo era molto più abbondante di oggi e solo le famiglie nobili della zona lo richiedevano come ingrediente per pranzi o cene importanti. Magri salari e poveri raccolti potevano venire rimpinguati da quel prezioso fungo e così molti si dedicavano alla cerca del tartufo e, naturalmente, all’allevamento e al commercio dei cani, indispensabili allo scopo. Pippo fu tra questi, aiutato e indirizzato da Bagaretta (al secolo Oreste Gardelli) che non disdegnava di integrare le paghe non certo ricche di suonatore di fisarmonica, col commercio dei cani da tartufo. In questo era facilitato dalla sua professione che, svolgendosi prevalentemente «a domicilio» presso le aie dei contadini ,nelle stalle per i «trebbi» invernali o in improvvisate balere, lo portava a contatto con molta gente dell’Appennino e delle campagne romagnole.

Bagaretta, nato nel 1865 e morto nel 1941, fu dunque il primo vero diffusore della razza e Pippo uno dei primissimi allevatori. Naturalmente nessuno dei due poteva disporre della necessaria cultura cinofila e cino-tecnica per lasciare un segno tangibile nella storia della razza. Anzi, proprio Bagaretta, se fu un virtuoso acclamato del suo strumento, non altrettanto si può dire che lo fosse come cinofilo, visto che commerciava qualsiasi tipo di cane pur di arrotondare il bilancio. Pippo dal canto suo, non esitò a introdurre nel suo ceppo di Lagotti anche cani di altre razze e meticci, pur di rinsanguare a tutti i costi. Famoso fu il pointer Arno che Pippo, per velocizzare i suoi Lagotti (la concorrenza fa i tartufai s’era fatta agguerrita e il tartufo doveva essere “cavato” rapidamente) introdusse a più riprese senza troppe cerimonie e senza alcun ripensamento. Bisogna considerare che allora a nessuno interessava il Lagotto come razza canina pura: le razze già esistenti erano considerate più che sufficienti e gli incroci erano apprezzati spesso ancor più per la loro robustezza, carattere e resistenza alle malattie. Fra l’altro, nei cani da tartufi, vigeva la castrazione dei maschi con l’esclusione di pochi stalloni destinati alla riproduzione da vecchi e quando non più in grado di lavorare al meglio.

Bagaretta e, più tardi, Pippo, ebbero però il grande merito di non lasciare cadere del tutto nel dimenticatoio il nostro Lagotto Romagnolo, consentendogli di giungere fino a noi, come per miracolo ancora quasi integro. 

Dobbiamo dunque ringraziare questi pittoreschi, arcaici personaggi, la cui storia si fonde con quella della razza praticamente fino agli anni 60. Come non ricordare il fratello di Pippo “Lo Zoppo di Codrignano” (una località presso Imola), anche lui incallito tartufaio e utilizzatore di Lagotti, famosissimo per la ritrosia quasi totale a parlare di pasture o di cani, con chi non fosse nelle sue grazie. Doveroso poi menzionare Remo Morotti di Casalfiumarese (BO), notissimo come “Casetta”, tartufaio e allevatore pionieristico dei Lagotti e fondatore di una rinomata linea di sangue tutt’ora presente in molti nostri cani e caratterizzata dalla grande attitudine al lavoro. E con lui ricordare i fratelli Bosi di Casola Valsegno (RA), anche loro Lagottisti da generazioni. E poi quelli del molino del sale, nell’Appennino Imolese, allevatori empirici ma pur sempre importanti per la storia del Lagotto, il loro quadrisnonno già possedeva e utilizzava Lagotti essendo tra l’altro originario della Bassa Romagna. E per finire il padre, il nonno e il bisnonno di Ermanno Zavagli, allevatori di Lagotti per vocazione da cent’anni. 

Va comunque chiarito che i tartufai hanno sempre operato in allevamento in modo totalmente empirico (al di fuori di ogni regola genetica) badando esclusivamente al risultato pratico immediato (ottenere il miglior cane da tartufi, Lagotto o non Lagotto che fosse). Il principale scopo di ogni tartufaio è sempre stato, in parole povere, quello di ottenere un tipo di cane ideale che, cancellato l’istinto venatorio, potesse dedicarsi in modo specialistico alla cerca del tartufo.

Foto di copertina: Disegno del 1925