Piacevole novelletta di Giacomo Castelvetro 1614

Piacevole novelletta di Giacomo Castelvetro 1614

Piacevole novelletta – Dico adunque, che, trovandomi negli anni di nostra salute 1572 in uno assai grosso villaggio del marchese di Bada(1) nella Magna appellato Rotlè(2), nel quale solamente per apparare l’assai malagevole lingua di quella nobil contrada m’era ritirato, il che dimorandomi nella bellissima città di Basilea non mi era potuto venir fatto per la molta quantità d’Italiani, di Francesi e di Spagnuoli che in quel tempo vi si trovavano.

Laonde un giorno avenne che a desinare col castellano e governatore di tutto il contado di detto villaggio io venisse invitato, ove a caso vi si trovarono molti gentiluomini e tra quelli un barone, giovane molto grazioso, il quale non avea molto che d’Italia s’era venuto; e intendendo che italico io mi fossi, a me il suo parlare rivoltato, a dir così si diede: “Amico, da che odo che italiano voi vi siete, non vi sia grieve, vi priego, dirmi onde avenga che gli uomini nobili di quella per altro nobilissima patria si vadino nelle ville loro dietro a’ porci)). A così fatto suo parlare subito io m’imaginai che egli vi s’avesse alcun veduto ire, come testé dissi, con un tale animale a cercare tartufi; e perciò del suo ingannarsi feci bocca da ridere, ch’egli in mala parte pigliò, come quelli che a credere si diede o che io volessi farlo parer bugiardo o che di lui mi beffeggiassi, e mezzo addirato così si diede a dirmi: “Eh come! non è ciò che dico vero?)).

Io, per racchetarlo, mansuetamente gli risposi: “Egli è vero che la Signoria Vostra si puote essere abbattuta a vedere un di que’ gentiluomini mandarsi manzi un porco per l’un de’ piedi di dietro legato, ma con esso lui avrà ella altresì veduto un contadino colla vanga o con la zappa in collo seguitarlo”. “Cotesto che voi dite è vero” soggiunse egli, e seguitò dicendo: “E perciò non vanno essi dietro a’ porci?)”. “Oh, se ben vanno – diss’io -dietro a così fatto animale, non per questo gl’italici gentiluomini si dirà che menino i porci a pascere, ma per trovare un rar’ frutto quel fanno ch’ella dice, il quale nel tempo che la terra è di neve tutta coperta non saprebbero senza così fatto animale trovare, che all’odore quel conosce ove celato si stia; e per piacer egli oltre a modo tal frutto a’ nostri gentiluomini, prendon piacere grande d’andarlo a quella guisa cercando. E pertanto, s’ella si fosse quivi fermata tanto che la bestia si fosse messa col suo grugno a cavare sotto la neve, avrebbe similmente veduto il gentiluomo indi cacciano e il contadino incontanente darsi col suo stormento a cavare”. Il barone allora, ripigliando il dire, così mi disse: “Adesso ottimamente l’affare capisco, e dove prima scandalizzato d’una tal maniera mi vivea, or ne resto tutto soddisfatto e mi vi sento molto ubligato”. E poi seguitando disse: “Ma, domine, qual frutto può mai esser quello, che non mi so imaginare quale egli si possa, essere, e pur caro mi sarebbe il saperlo, quando a voi non rincrescesse il dirmelo”. “Dèe ella – diss’io – sapere, ch’egli è senza dubbio una qualità di fongo, che non mai fuori della terra apparisce, e chiamansi tartufi”. Udendo egli così fatto nome, non molto lungi da questo altro suo “tertifle”, che nella favella nostra “diavolo” si viene a dire(3), con non sua poca ammirazione si diede ad alta voce a dire: “Deh, buon Dio, e qual gusto trovate voi altri in mangiare così fatta bestia?”. A cotal suo parlare non fu in mia balìa il poter le risa ritenere e, ridendo, soggiunsi: “Oh, volese Iddio che al presente un tale diavolo noi qui ci avessimo, perché io mi rendo ben certo che quella(4) e tutti questi signori non pur buono il troverebbono, ma che ancora se ne leccherebbon le dita”. <‘Per confessarvi il vero – ritornò egli a dire – cotesto vi vo’ io ben credere, conciosia cosa che, anzi(5) nella vostra bella contrada m’andassi, io non sol non mi mangiassi lumache né rane, anzi, come cose stomachevoli e a’ corpi umani mortifere, le avea a schifo e fuor di modo le aborriva, e oggi non con mio minor gusto le mangio che altri si mangi capponi e pernici”. Ora, avendo qui al suo parlar posto fine, in altri ragionamenti s’entrò; e poi dopo quel tempo più d’una fiata fui cortesemente da lui al suo castello (che non guari lungi di là sovra la cima d’un ameno monticello era posto) invitato, e fecemivi molte lumache molto bene acconce mangiare, e del suo inganno più volte ne ridemmo”.

1. E’ la località termale di Baden-Baden.
2. Röttlen
3. Equivale a “tertifle”, storpiatura del tedesco “Teufel”, diavolo.
4. La Signoria Vostra.
5. Prima che

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