Tartufi: Ecco cosa ci aspetta in futuro

Tartufi: Nuove proposte di legge

Tartufi: Il 12 gennaio 2016 è stato convocato un incontro partenariale presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con l’obiettivo di proporre soluzioni operative in merito alle questioni legali, economiche e della valorizzazione della produzione tartuficola nazionale. La Segreteria particolare del vice ministro Andrea Olivero ha esteso l’invito ai presidenti di varie Associazioni quali:

Il contributo di Gabriella Di Massimo in qualità di Agronomo, ricercatrice a contratto presso il CNR ha riguardato i seguenti temi:

  • Assicurare la tracciabilità del prodotto,
  • Tutelare i raccoglitori muniti di tesserino,
  • Tutelare i tartuficoltori,
  • Tutelare i consumatori,
  • Chiarire la questione fiscale.

Il documento contenente le proposizioni è stato consegnato da Riccardo Germani, presidente dell’Associazione Tartufai Italiani, al viceministro e a breve sarà disponibile sul sito dell’associazione medesima.

Questo articolo approfondisce alcuni aspetti sensibili, partendo dalle parole del viceministro Olivero che ha aperto i lavori:

“Occorre tutelare chi coltiva, chi commercia e chi consuma. Del resto il tartufo è innanzitutto un alimento ed è necessario garantirne la tracciabilità, requisito fondamentale per il consumatore, ma anche strumento di tutela del prodotto nazionale rispetto ai tartufi di provenienza estera”.

Tracciabilità

Il tema della tracciabilità degli alimenti è una delle priorità della legislazione europea in campo alimentare. Dobbiamo quindi misurarci con lo stato del patrimonio tartufigeno italiano e con i dettami della CE per trovare una soluzione rapida, economica e sicura, che garantisca la tracciabilità dei tartufi. Lo scenario del patrimonio tartufigeno italiano, rispetto al 1985 si è così modificato nel tempo:

– Aumento dei tartufi derivanti da coltivazione,

– Aumento delle superfici di tartufaie controllate,

– Calo della produzione naturale,

– Significativa introduzione di tartufi da altri Paesi europei.

La proposta parte dalla semplice constatazione che i tartufi sono funghi e che la legislazione italiana sui funghi epigei è aggiornata e coerente con le normative CE. Proponiamo quindi, di inquadrare la parte della legislazione riguardante la commercializzazione e la raccolta dei tartufi, a quella prevista per i funghi epigei, (L. Q. 352/93 e D.P.R. 14 Luglio 1995 n° 376).

Non fa eccezione l’esame dell’accertamento delle specie:
“L’esame per l’accertamento delle specie dei tartufi spontanei e coltivati destinati al consumo da freschi o conservati, è fatto dagli Ispettorati micologici presso i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie
Locali (ASL) o dai professionisti che hanno conseguito regolare attestato di “Esperto micologo”.

Nel certificato deve essere specificata:

  1. la specie,
  2. la data,
  3. il luogo di raccolta
  4. la quantità.

La verifica della specie presso le ASL di appartenenza dei cavatori o di esperti micologi permette di:

–  identificare con sicurezza la specie. Infatti, uno dei casi più frequenti nella commercializzazione dei tartufi sia freschi sia trasformati è la confusione involontaria o meno tra specie.

–  tracciare la provenienza e, quindi, monitorare le produzioni delle singole aree produttive, così che si sappia da quali territori provengono i tartufi italiani e, magari, salvaguardare gli ecosistemi produttivi più a rischio.

Altro punto molto a cuore sia dei tartufai che dei consumatori è la provenienza del tartufo, soprattutto nei riguardi del Tubr Magnatum Pico, l’dea prevalente è quella di apporre sulle etichette il nome in latino dopo una adeguata campagna pubblicitaria.

Tutelare i raccoglitori muniti di tesserino, i proprietari di aree tartufigene naturali, gli ecosistemi tartufigeni naturali

L’art. 3 della L.Q. 752/85 recita “La raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati”. Questo articolo nel recepimento della maggior parte delle regioni è stato completato con l’aggiunta “lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua classificati pubblici dalla vigente normativa” per salvaguardare e consentire la raccolta di T. magnatum.

Adottando la normativa sui funghi epigei la cui raccolta è delegata ai comuni (L.Q. 352/93 e DPR 376/95) si manterrebbe l’art. 3 della L.Q. 752/85, tutelando i raccoglitori muniti di tesserino.

L’articolo 3 introduce anche il concetto di tartufaia controllata: “Per tartufaie controllate si intendono le tartufaie naturali migliorate e incrementate con la messa a dimora di un congruo numero di piante tartufigene; si intendono invece per tartufaie coltivate quelle impiantate ex novo”.

Le singole Regioni hanno legiferato in modo diverso per quanto riguarda le tartufaie coltivate. Sarebbe auspicabile invece che tutte le regioni recepiscano la L.Q., si muniscano della Carta delle aeree vocate, che sia stabilita una percentuale di territorio vocato da destinare alla raccolta riservata, escludendo le proprietà demaniali e pubbliche, che sia posto un limite di superfice riservata per ciascuna azienda agricola.In questo modo si difende il diritto alla libera raccolta garantendo una percentuale di territorio accessibile ai possessori del tesserino, e il diritto dei proprietari di aree tartufigene naturali che vogliano riservarsi la raccolta.

Tutelare i tartuficoltori

Come già detto, l’art. 3 introduce il concetto di tartufaie coltivate. Il concetto dovrebbe però essere ampliato, specificando che: gli impianti ex novo devono essere realizzati mettendo a dimora piante micorrizate la cui produzione e commercializzazione deve esser conforme alle leggi riguardanti le piante forestali e devono essere accompagnate dal certificato della qualità della micorrizazione. L’accertamento dell’entità e della qualità della micorrizazione deve essere fatto da laboratori accreditati.

Le tartufaie coltivate in alcune regioni sono assimilate a rimboschimenti produttivi, ma la proposta è quella secondo cui la tartufaia coltivata sia assimilata ai frutteti specializzati. Il controllo e la certificazione delle piante micorrizate fatto da laboratori accreditati garantisce il coltivatore da frodi e impedisce l’immissione sul territorio di piante non o poco micorrizate o in simbiosi con specie diverse da quelle per cui l’area è vocata.

L’assimilazione ai frutteti specializzati consente il taglio dei simbionti a fine produzione o quando questa non sia più valida dal punto di vista economico. Le aziende agricole che hanno tartufaie coltivate produttive inseriscono i tartufi tra i prodotti dell’azienda.

Tutelare i consumatori

La L.Q. dell’85 dedica gli articoli 7, 8, 9,10,11, 12, 13 alla lavorazione, conservazione e vendita dei tartufi. I contenuti di questi articoli sono superati dalle normative vigenti e devono essere riformulati conformemente alle direttive europee.

Un argomento molto dibattuto a proposito dei prodotti trasformati è l’uso degli aromi, partendo dal principio che la sterilizzazione al calore abbatte il naturale profumo anche nei carpofori confezionati interi, e che le percentuali di tartufo presenti nelle salse e affini, è molto basso (anche 3%). Da sempre è invalso l’uso del bismetiltiometano, un mercaptale che richiama il profumo di T. magnatum Pico. Solo di recente alcune industrie hanno introdotto aromi naturali più gradevoli, ma comunque simili all’odore del bismetiltiometano. La definizione e l’uso degli aromi, sia di sintesi sia naturali, sono stabiliti dal Regolamento (CE) N. 1334/2008 che all’Art. 7 recita: “L’utilizzo degli aromi non deve indurre in errore i consumatori”. In realtà gli aromi sia di sintesi sia naturali sono una pallida imitazione del profumo di T. magnatum e nulla hanno a che vedere con quello delle altre specie commercializzabili.

Occorre uno sforzo della ricerca biotecnologica per produrre aromi simili a quello delle varie specie di tartufo, oppure individuare linee di conservazione alternative alla sterilizzazione al calore (linea del freddo, essiccazione a basse temperature, liofilizzazione).

Questione fiscale

La legge n. 311 del 30 dicembre 2004, con l’art. 109 “Disciplina IVA raccoglitori occasionali tartufi” ha cercato di normare il settore:

“I soggetti che nell’esercizio di impresa si rendono acquirenti di tartufi da raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA sono tenuti ad emettere autofattura, i soggetti acquirenti di cui al primo periodo omettono l’indicazione nell’autofattura delle generalità del cedente e sono tenuti a versare all’erario, senza diritto di detrazione, gli importi dell’IVA relativi alle autofatture emesse nei termini di legge”. La cessione di tartufo non obbliga il cedente raccoglitore, dilettante od occasionale, non munito di partita IVA ad alcun obbligo contabile.L’articolo 109 si riferisce solo al raccoglitore dilettante od occasionale ma non cita i raccoglitori professionisti che ricavano dalla raccolta e vendita dei tartufi il reddito principale e gli imprenditori agricoli che, allo stato attuale, sono i maggiori fornitori di prodotto almeno per quanto riguarda il tartufo nero pregiato.

Quello che si propone in merito è quanto segue:

– Per i raccoglitori dilettanti od occasionalil’emissione di un’autofattura da parte del commerciante acquirente ed emissione di ricevuta da parte del cedente; che sul documento fiscale utilizzato nella cessione del prodotto sia indicato il nominativo del cedente e allegato il certificato di identificazione della specie rilasciato dall’ASL o da un esperto micologo in cui siano indicati: specie luogo e data di raccolta. Per raccoglitori dilettanti od occasionali è prevista una franchigia fiscale di Euro 7.000,00.

– Per i raccoglitori professionisti, emissione di regolare fattura di cessione del bene sempre accompagnato dal certificato di identificazione della specie rilasciato dall’ASL o da un esperto micologo in cui siano indicati: specie, luogo e data di raccolta.

– Per le aziende agricole produttrici l’adeguamento al regime fiscale adottato.

La documentazione fiscale garantisce la tracciabilità del prodotto e la correttezza tra cedenti e acquirenti. La franchigia di 7.000 euro rispetta la funzione di integrazione del reddito che la raccolta del tartufo ha sempre avuto e non penalizza gli hobbisti.

Con nostro compiacimento questo ultimo punto ci riporta alla memoria una proposta di legge progettata dallo staff di questo sito purtroppo per noi amaramente contestata.

Fonte: saperefood 

Da un articolo realizzato da:
Gabriella Di Massimo Agronomo, ricercatrice a contratto presso il CNR