Lettera del 1808 – «Mi spiega come seminare i Tartufi?»
Lettera del 1808 – «Mi spiega come seminare i Tartufi?»
Lettera del 1808 – Da ricerche ancora in corso risulta che gli studi di tartuficoltura risalgono ai primissimi del 1800, ad opera di Pietro Fontana , che si dedicò alla sperimentazione della coltura del tartufo. Nella corrispondenza con il principe Stanislao Poniatowski (1754-1837), nipote ed erede del re Stanislao Augusto di Polonia (lettere del principe al Fontana, custodite presso l’Archivio di Stato di Spoleto), si legge:
- 20 gennaio 1808 « Ella gentilmente mi offre dei piccoli tartufi atti alla seminagione, ed io li accetterò volentieri, qualora si voglia dare la pena di mandarmi contemporaneamente il preciso dettaglio della preparazione che si deve dare al terreno per seminarli: del tempo e della maniera con cui eseguire questa semenza e del metodo che progressivamente necessita per coltivarli fino alla loro maturità ».
- 20 febbraio 1808 « Ho ricevuto con tutto il piacere la cassettina dei tartufi destinati al nuovo esperimento di seminagione, unitamente all’analogo Dettaglio per eseguirla… »
Cenno di un metodo per la « coltivazione di detto vegetale », predisposto dal Fontana, si rotrova anche nelle lettere di Marianna Candidi Dionigi (romana-letterata, pittrice paesaggista, musicista):
- Roma 1808 «… intesi dal Signor Principe Poniatowski se non erro, ch’Ella ha trovato il metodo per far nascere i tartufi negri. Io vorrei sapere come si debbono piantare ed in qual tempo e la qualità della terra… ».
- Roma 1809: « Ricevo la sua gentilissima lettera unitamente ad una scatola di molti ed eccellenti tartufi. …Ella si esibisce cortesemente a trascrivermi il metodo per la coltivazione di detto vegetale, ed io lo accetto con molto piacere, onde sperimentare in mio vantaggio il risultato delle sue osservazioni ».
In una pubblicazione di Francolini (1927), viene riportata una lettera del Fontana all’illustre Principe, in data anteriore alle altre del 1806, in cui si dettano, con mirabile precisione, le norme per la coltivazione dei tartufi:
«Altezza: Non manco nella prosecuzione delle mie lezioni di agraria di parlare dei tartufi e della coltivazione opportuna per moltiplicarli. Quanto Vostra Altezza si degnò di dire nella Sua pregiatissima del 20 stante, è in parte praticato in questa coltivazione, la terra peraltro, che accenna non è la conveniente, ma bensì quella composta di una metà di argilla ed anche due terzi, ma buona porzione di calcare e di silice attenuata, ed una porzione mediocre di ferro, o di sostanze ocracee. Le decomposizioni vegetali poi sono opportunissime, ma non mai peraltro quelle del lauro, bensì quelle delle querce, dell’elee, e di altre piante, le quali abbondino di tanno o materia astringente. È verissimo che esiste nei tartufi un germe, (dicano pure quello che vogliono i materialisti stolti); è però altrettanto certo che si rende dif-ficilissimo il conoscere il luogo ove precisamente esiste nel tartufo, quindi il mezzo più sicuro per la moltiplicazione di essi consiste nello scegliere i più piccoli (che non essendo opportuni a cibarsene) si sotterrano nella coltivazione tutti interi in vicinanza di elei e di querce. Perdoni Vostra Altezza di questa mia diceria, ecc. ».
Questo prezioso documento, finora sconosciuto agli studiosi di idnologia, afferma la priorità Umbra in Italia nello studio sui funghi ipogei. Infatti, da quanto si evince da quest’ultima lettera, pur mancando ancora la conoscenza del « Saggio » inviato al Principe Poniatowski, Pietro Fontana aveva in qualche modo intuito il nesso pianta-tartufo che è alla base della moderna tartuficoltura. Si pensi, a questo proposito, all’ipotesi di Bencivenga e Pacioni (1978), i quali affermano che la simbiosi può prendere avvio in qualsiasi fase dello sviluppo della pianta ospite: appare così tutta l’importanza e la validità di questa intuizione avvenuta circa 180 anni prima. D’altra parte ho potuto constatare personalmente i risultati del metodo consigliato da Fontana in una zona pedemontana di Norcia negli anni 1968-’73, ove un agricoltore aveva dato vita, nel giro di cinque-sei anni, ad alcune tartufaie lungo il lato di un ex coltivo a contatto con il bosco, interrando dei tartufi in prossimità di piante adulte.
Fonte: ItSpoleto