Le raccomandazioni ONU sulla vendita dei tartufi

Le raccomandazioni ONU sulla vendita dei tartufi

Le raccomandazioni ONU – Nell’aprile del 2002 la delegazione Francese presso le Nazioni Unite ha presentato una proposta per la creazione di una norma CEE-ONU relativa ai tartufi; il testo, esposto secondo gli schemi adottati all’ONU, si rifà in parte all’”Accord Interprofessionnel” francese, e differisce da questo per alcuni aspetti, di seguito riferiti in linea di massima:

  • La struttura generale della norma è stata cambiata; essa prevede una parte generale, una parte dedicata al mercato all’ingrosso ed una parte specifica sulla vendita al consumatore finale;
  • È stato allargato l’elenco delle specie commerciabili;
  • È stato previsto un calendario unificato di massima;
  • La ripartizione dei tartufi in categorie è stata modificata – solo per quanto concerne le vendite all’ingrosso;
  • Le tolleranze percentuali sono state modificate;
  • La presentazione è prescritta in modo più rigoroso.

Nell’agosto del 2004 l’organo competente delle Nazioni Unite, basandosi su tale proposta, ha provveduto a compilare la “Raccomandazione CEE-ONU FFV-53, stabilita a partire dal documento

TRADE/WP.7/GE.1/2004/25/Add.8, concernente la commercializzazione ed il controllo di qualità commerciale dei tartufi freschi (Tuber)”, valida fino a Novembre 2006.

Si ricorda che le Raccomandazioni ONU costituiscono il riferimento per tutte le regolamentazioni internazionali.
La Raccomandazione è semplificata rispetto alla proposta della delegazione Francese e, paradossalmente, è strettamente assimilabile all’“Accord Interprofessionnel” nella sua versione originale.

Vi sono, ad ogni modo, alcuni aspetti che sono stati oggetto di maggiore precisazione, che vale la pena sottolineare:

  • Nella definizione iniziale del prodotto è specificato chiaramente che sono esclusi dalla raccomandazione i tartufi destinati alla trasformazione industriale, essendo in oggetto unicamente quelli destinati al commercio da freschi;
  • In allegato è presentata una lista di tartufi commercializzati più numerosa di quella presa in considerazione dalla normativa francese, italiana e spagnola; ciò nonostante, la lista è definita“non esaustiva”. Essa comprende:
    o Tuber melanosporum Vitt.;
    o Tuber brumale Vitt.;
    o Tuber brumale var. moschatum De Ferry;
    o Tuber indicum Cook;
    o Tuber aestivum Vitt.;
    o Tuber uncinatum Chatin;
    o Tuber mesentericum Vitt.;
    o Tuber magnatum Pico;
    o Tuber borchii Vitt.;
    o Tuber macrosporum Vitt.;
    o Tuber gibbosum Gilkey;
  • La norma ha per obiettivo “la definizione delle qualità che devono presentare i tartufi allo stadio di controllo all’esportazione, dopo il confezionamento e l’imballaggio”.

In seguito alla disamina delle normative francese, italiana e spagnola, ed alla considerazione delle caratteristiche delle raccomandazioni ONU, è possibile fare alcune osservazioni di carattere generale: in primo luogo, il settore tartuficolo è oggetto di normativa a partire dalle singole nazioni, fino agli organi internazionali più alti. I testi fin qui elaborati dalle singole nazioni, benché simili per principi e struttura, non sono ancora davvero mai stati coordinati col fine di semplificare gli scambi commerciali; tra questi, l’Italia ha legiferato nel settore tartuficolo più che altro per quanto concerne la ricerca e la raccolta, la Francia si è concentrata sull’interscambio commerciale – è francese anche l’iniziativa presa in merito in sede ONU – e la Spagna ha provveduto a regolare entrambi i campi, anche se la parte dedicata a ricerca e raccolta è stata curata soprattutto dalle regioni autonome.

Per quanto riguarda la produzione non naturale – cioè in tartufaie controllate e coltivate – l’Italia è l’unica nazione ad aver compilato delle prescrizioni normative di livello nazionale: la Spagna ha delegato in toto la questione alle autonomie locali e la Francia non ha provveduto in alcun modo.

Il fatto che quest’ultima non abbia legiferato in merito alla coltivazione dl tartufo, ma sia di fatto molto attiva in quest’ambito, porta alla considerazione che il sistema produttivo sia trasparente ed efficiente, ed il legislatore abbia quindi voluto concentrare l’attenzione sul successivo passaggio di vendita del prodotto, evidentemente più soggetto a manipolazioni.

A questo proposito si può dire che l’Italia tende forse a sottovalutare il valore della prescrizione normativa a livello di scambi commerciali, non facendosi in tal modo garante di qualità e trasparenza del mercato per il consumatore finale.

Va infine notato che il testo considerato di livello internazionale più alto è inerente solo il commercio di tartufi freschi: la regolamentazione delle pratiche di coltivazione e del commercio di prodotti trasformati resta pertanto priva di principi internazionali di riferimento.

Questa mancanza appare abbastanza logica per quanto riguarda la coltivazione, più legata alle caratteristiche specifiche dei singoli territori, ma molto meno per i prodotti trasformati, che, essendo di facile scambio, dovrebbero almeno essere soggetti ad un protocollo – con validità internazionale – in grado di garantirne le caratteristiche qualitative.

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