Il Lagotto Romagnolo nella letteratura

Il Lagotto Romagnolo nella letteratura 

Il Lagotto Romagnolo nella letteratura – Qui di seguito vi proponiamo una serie di citazioni prese da libri storici, perlopiù sconosciuti, o quanto meno molto antichi in cui viene menzionato il Lagotto Romagnolo.

Erasmo di Valvasone, nel poema La Caccia stampato in friuli nel 1591 dice: “A noi razza convien aspra e ricciuta, il sol, il ghiaccio, l’acqua a non temer usata, che salga i monti, a nuoto passi i fiumi, corra sull’ardue ripe, entri tra dumi, d’aspetto del monton nel capo e ‘l vello, per riportar giocoso al cacciator l’uccello”.

Eugenio Raimondi nel sui Delle Caccie (Venezia 1630) accennando ai cani d’acqua da sempre diffusi nelle lagune venete, afferma: “Altri non temeran, fra laghi e fiumi, portar l’anitra a ripa et avvezzati a leggiadro costume, non temono bagnarsi il dorso e ‘l tergo piacer di lui possieda. Son cani ricciuti di pelo ispido et duro con pelle tinta del mismo smalto dè canneti”

Sia Fulvio Gherardi (detto Acquatiepida) nel suo La guerra uccellaria divisa in più giornate (Bologna 1667) sia Bartolomeo Alberti (detto Solfanaro) nel suo manoscritto Il cacciatore bolognese (Bologna 1716), parlano di un “Can rezz pr’al Fallg” (Cane riccio per le folaghe) diffuso nelle zone vallive della Bassa Emilia e della Bassa Romagna. Lo stesso afferma anche Lazzero Grandi nell’Alfabeto di segreti medicinali ed altri curiosi et dilettevoli d’ogni materia con l’arte di uccellare et pescare. (Bologna 1667) e Niccolò Spadoni ne La Caccia del schioppo con 74 documenti per fare un bravo e volente cacciatore di schioppo (Bologna 1678).

Alberto Bracchi della Lega nel suo Manuale del cacciatore e dell’uccellatore colla particolare descrizione delle caccie romagnole (Bologna 1876) dice: “ I nostri piani che da Castel Bolognese a Ravenna si presentano al viaggiatore così regolari, così ben coltivati, erano, molto meno di un secolo fa, guastati delle paludi: vecchi contadini mi narravano ieri ancora le cacce di anatre e folaghe da loro fatte in tinta con “cani barbini detti Lagotti” al seguito di ricchi signori giusto là dove adesso s’allineano i campi dell’erba medica, del trifoglio del grano e del granoturco”.

Gian Francesco Bonaveri nel suo Della città di Comacchio, delle sue lagune e pèsche – descrizione storica, civile e naturale (Comacchio, 1905) trattando La caccia mediante il rastrello dice: “I cacciatori di Comacchio anch’essi non si rendono oziosi essendovi chi considerevolmente s’approfitta di un tale esercizio. Molti di questi tirano ai volatili stando sulle rive provveduti di asprissimi cani da essi chiamati Lagotti o Pelliccioni che vanno a levare dell’acqua gli estinti uccelli”.

Alessandro Ghigi in La Ciaccia (Torino 1929) afferma : “la caccia alle anatre si può fare con cane da acqua ricciuto che riporti la selvaggina” a pag. 11 del libro di Ghigi c’è la vecchia foto di “un cane riccio che riporta un palmipede” F.F. de Daugnon del suo Il cane nella storia e nel mondo simbolico (Crema, 1907) scrive: in un mio villaggio nella Tunisia ho visto cani barbone in tutto simili a girovaghi nelle strade di Goletta, Karoan, Sfax, Aulona e Tunisi ed avendo chiesto s’erano proprio di quelle contrade mi fu risposto essere di molto antichi venuti dall’Oriente esempre usati per la pesca e la guardia” Nel volume del marchese Francesco Costa La caccia in Italia ed il cacciatore medico (Napoli 1880) si dice che: “Se mai facciate la caccia alle folaghe procurate d’usar di cani spinosi che molto gradiscon l’acqua e il fango”

Vincenzo Tanara nel suo La caccia degli uccelli (Bologna 1886) scrive: “ Circa il tramontar del sole i cacciatori con velocità spiegando le barchette s’avvicinano ai rastrelli, poi que’ cane ricciuti et ispidi entrarono nell’acqua e con tutto, il corpo sott’acqua, conforme al lor costume. Piglian uccelli pe’ la testa et li riportan in sulla battana”.

Gaspare Ungaretti nel libro Gli Usi venatori bolognesi (Bologna 1932) parla di un “Rastèl al fàllg cun a can rèzz spinòs”

Nel Dizionario del dialetto Veneziano di Giuseppe Boerio (Vnezia 1856) esiste la voce “Cari Lagòto” tradotta in “Cane riccio da anitre” nel Dizionario polesano-italiano di Pio Mazzucchi (Rovigo 1907) esiste la voce “Càn Lagòto” tradotta in “Cane da cerca e da usma (rifiuto)”

Nella prima edizione del 1876 del Vocabolario Romagnolo-Italiano dell’Ercolani alla voce “can Lagòt) e scritto: “Cane Lagotto: in gergo venatorio chiamato semplicemente “lagòt”; Dicesi di cane di media grandezza, dal pelo folto ruvido, riccio, buon adatto nei terreni paludosi”

Nel Vocabolario Romagnolo-Italiano di Antonio Morri (Faenza 1840) si parla di un “Can zercador o Lagòt” come “cane frugatore da trifola” Lo stesso Morri del suo Manuale Domestico-Tacnologico di voci, modi, proverbi, riboboli, e idiosismi della Romagna (Persiceto 1863) parla di un “Can lagòtt” come di “Cane pelliccione da valle e da trifola”. Questo sta a significare che, in questi anni, la fase di passaggio del Lagotto da cane da acqua a cane da tartufi era già iniziata.

Gian Francesco Bonaveri parlando degli abitanti di Lagosanto (Un paese in provincia di Ferrara nel cuore delle Valli di Comacchio, i cui abitanti sono detti Lagotti) li descrive: “Dediti a procacciarsi il vitto colla foscina (Fiocina) e coll’arcobugio, cacciando con la prima le anguille e con l’altro gli uccelli da acqua, usando accortamente cani Lagotti o Pelliccioni per riportar le prede.” Aggiunge anche che “ come Plinio lascio scritto: Su quella gran Laguna che da Lagosanto giunge fino a Comacchio e va poi a porre il capo in mare, press’a poco dov’è ora il porto di Magnavacca (porto Garibaldi), comandasse la città di Spina, posta nei pressi della foce del Po.” Bonaveri conclude affermando che: “l’antica città etrusca di Spina era stata edificata là dov’è era la valle detta di Trebba”. In quella valle furono ritrovati resti di pitture e graffiti ove è spesso rappresentato un cane assai simile al nostro Lagotto Attuale”.

Nel vocabolario domestico Ferrarese-Iatliano di Carlo Azzi (Ferrara 1857) c’è la voce (Càn Lagotto) tradotta con (cane barbone o barbino). Nel vocabolario (op. cit.) del Mattioli (Imola,1879) la voce «càn da acqua» è tradotta con «cane piloso da guazzo». La voce «lagòt» con «abitatore di lago». Nel Dizionario della lingua italiana di caccia di Plinio Farinie Armando Ascari (Milano,1941) alla voce «guazzo» del capitolo dedicato a Caccia e tese di palude e valli, c’è la voce: «cane da guazzo» cioè «cane dal pelo riccio impermeabile all’acqua usato da tempo immemorabile nelle valli comacchiesi e venete».

Nino Broglio,nel suo La Caccia (Milano, 1942),dice: «perla caccia alle anitre il cane ideale dev’essere non molto grande, ma robusto,resistente alle intemperie e all’intirizzimento, non ché provvisto di una qualità essenziale: il riporto dall’acqua. I soggetti migliori sono quelli a pelo riccioluto ed ispido dei vallaroli comacchiesi e veneti».

Luigi Ghidini in Cani, caccia e cacciatori, armi, uccelli e uccellatori (Pescia, 1942) nel capitolo su Aforismi,proverbi,massime, motti e sentenze, dice: «cane da riporto pelliccione, buono per sé e pel padrone (antico proverbio polesano)».Nel capitolo intitolato:L’anima del cane fa riferimento ai «cani ricci cercatori di tartufi usati nella Bassa Romagna anche come cani da riporto».

Nel vocabolario del Mattioli (op. cit.) c’è la frase «Càza al fòlgh cun e’ can rézz»tradotta con «sorta di caccia nelle lagune alle folaghe con cani riccioluti da acqua».

Antonio Morri,nel suo Vocabolario dialettale Romagnolo‐Italiano cita la frase «fè de càn barbòn» (fare o essere un riportatore, anche in senso astratto).

In un Frammento di poema inedito in dialetto romagnolo di Matteo Pulòn (XVIsecolo) c’è la frase «E valaròl cun è su lagòt»(il valligiano con il suo cane Lagotto o cane riccio da folaghe).

Altri autoriche di passaggio citano il Lagotto sono il B.G.B. Nel suo Le pesche e le caccie nelleValli di Comacchio‐Poemetto didascomico (Bologna,1936) e Cesare Francesco Balbi nel suo Una caccia nelle lagune,versi di C.FY Balbi Viniziano(Venezia, 1834). Nell’appendice del Vocabolario Bolognese‐Italiano di Claudio Ermanno Ferrari (Bologna,1855) si trovano le voci «Lagòt» (valligiano) e «Càn Lagòt» (cane di valle).

Nel Vocabolario del dialetto bolognese di Gaspare Ungarelli (Bologna, 1901) alla voce «can tartoflér»il traduttore scrive: «cane ricciuto cercatore di tartufi». Il significato è chiaro: ormai era costume in quel tempo identificare il cane da tartufi con il cane riccio delle lagune adriatiche e,in particolare, proprio col Lagotto.

Persino Don Giovanni Tozzoli, autore di un Piccolo Dizionario Domestico Imolese‐Italiano, ad uso delle scuole del ginnasio comunale (Imola, 1847), inserisce la frase «can Lagòt» (cane riccioluto da trifola,assai conosciuto nelle nostre zone). Alla voce «tartòfla» c’è scritto «andè a tartòfla cun è Lagòt»- attartufolare col cane Lagotto. Attartufolare è un verbo coniato da Antonio Morrinel suo vocabolario (op. cit.) del 1840.

Ma la fama del nostro Lagotto doveva già essere uscita dal territorio regionale se è vero che Ettore Berni, nel suo Vocabolarietto Mantovano‐Italiano,dice: «Can de trifola» ‐ cane da tartufi, in Romagna noto come Lagòt, da noi «cane spinoso».

Carolina Coronedi Berti nel suo Vocabolario Bolognese‐Italiano (Bologna, 1869/74) mette la voce «can lagòt»e la traduce: «cane di pelo arricciato e lungo da valle, usato anche perla trifola». In quest’opera si può trovare anche un «can de val»tradotto con«cane vallivo dal pelo riccio usato dai vallanti pel riporto de li uccelli».

Nel Vocabolario Romagnolo-Italiano di Antonio Mattioli (Imola,1879) alla voce «rèz» (riccio) si trova la frase «can rèz»e la spiegazione: «piccolo cane, da noi chiamato Lagotto, la cui pelle è tutta coperta di una specie di pelo lungo, duro, pungente, irto, e riccioluto, usato in prevalenza per la caccia a valle.