Nella nuova legge ci sarà ancora il razzismo tartufigeno?

Nella nuova legge ci sarà ancora il razzismo tartufigeno?

Nella nuova legge ci sarà ancora il razzismo tartufigeno? – Qui seguito vi proponiamo parte di quanto pubblicato sul quotidiano La Stampa, riguardante la nuova legislazione sulla commercializzazione del tartufo che, a quanto pare, vedrà la luce nei primi mesi del 2020. 

Alla commissione Agricoltura del Senato nei mesi scorsi si è lavorato per trovare una sintesi in grado di unificare i tre disegni di legge presentati dai senatori cuneesi Giorgio Maria Bergesio (Lega) e Mino Taricco (Pd) e dal siciliano Francesco Mollame (5 Stelle). Pare che l’impresa sia andata in porto e che nelle prossime settimane verrà presentata in Senato una proposta unica, che a quel punto non dovrebbe più incontrare ostacoli ed essere approvata.

Ma insieme alle speranze e ai buoni propositi classici di ogni inizio anno, c’è anche un timore: il nuovo disegno di legge conserverà i nomi «tartufo bianco d’Alba» e «di Acqualagna» come sinonimi di tuber magnatum pico, oppure le denominazioni con riferimento territoriale saranno eliminate a favore di un generico «tartufo bianco pregiato»? La questione è ancora aperta. Nei disegni di legge dei tre senatori i nomi di Alba e Acqualagna non compaiono, ma ci sono buone probabilità che rispuntino nel testo finale.

È quel che sperano gli addetti ai lavori di Langhe e Roero, che da sempre portano avanti la battaglia per difendere il nome (e la visibilità) di Alba, supportati da Ente Fiera e Centro nazionale studi tartufo. «La nostra – spiegano – è una battaglia per difendere non una Igp, ma un marchio di qualità, un brand costruito in decenni di promozione che è diventato un patrimonio italiano nel mondo e di cui tutti beneficiano».

Insomma, la denominazione «tartufo bianco d’Alba» da intendersi come un marchio commerciale d’eccellenza e non come una indicazione di provenienza da uno specifico territorio. Tuttavia, anche ad Alba c’è chi inizia a chiedersi se vincere questa battaglia sia più benefico o dannoso.

«Se si introduce la denominazione commerciale “tartufo d’Alba” si arriverà alla conclusione che qualunque tuber magnatum pico cavato in altri paesi potrebbe fregiarsi commercialmente della denominazione “bianco d’Alba” – osserva l’avvocato Roberto Ponzio -. Qualunque venditore, a prescindere dal luogo di raccolta, potrebbe legalmente spendere il toponimo d’Alba e ciò sarebbe una grave sconfitta per il nostro territorio». E conclude: «Per evitare il rischio di indebite confusioni nel consumatore e forme di concorrenza sleale legittimate dalla legge, bisognerebbe lavorare sulla creazione di “marchi collettivi locali” facendo leva sull’autenticità del prodotto così come è stato fatto dal Comune di Santo Stefano Roero, che ha recentemente registrato al ministero per lo Sviluppo economico il marchio “Tartufaia naturale delle rocche del Roero” per valorizzare il tartufo del suo territorio».

Fonte LaStampa

Seppur vero che l’importanza conquistata dal tartufo Italiano nel mondo è da attribuirsi al lavoro svolto in Pimonte e più precisamente ad Alba lo è altrettanto il fatto che un singolo paese non può produrre un quantitativo di tartufo tale da soddisfare la domanda internazionale del prodotto. Ne tanto meno Acqualagna. In fatti come sanno bene gli addetti ai lavori i tartufi provengono (nei migliori dei casi) dalle più disparate regioni d’Italia in quanto il Tuber Magnatum Pico è sempre Magnatum Pico da qualsiasi parte del mondo esso arrivi. La differenza può essere data solo dalla natura che è stata più o meno generosa in una zona piuttosto che in un’altra in determinate annate. Voler ostinatamente continuare a dare un “Nome di Fabbrica” a puro scopo di marketing è eticamente deprecabile, in quanto questi marchi “Alba” e “Acqualagna” mirano a vendere i tartufi ad un prezzo maggiore di quello di altri territori come se essi potessero vantare qualità organolettiche che altre zone d’Italia o del mondo non potrebbero offrire, malgrado vendano il medesimo tartufo. Vi racconto un aneddoto personale. 

Un paio di mesi fa mi contattò telefonicamente un consumatore della provincia di Bologna che voleva del TARTUFO BIANCO fresco, e mi chiedeva se potevo dargli garanzia che fosse TARTUFO BIANCO D’ALBA, io ho risposto candidamente che si trattava di tartufo bianco raccolto in Abruzzo, a quel punto non sono valse a nulla le mie ragioni, in quanto per lui un tartufo bianco raccolto in Abruzzo non è vero tartufo bianco.