Lucrezia Borgia, i tartufi e le tasse
Tartufi regalati per non pagare le tasse e farsi visitare dai medici Il valore dei tartufi divenne presto un bene comune, da condividere. In quasi tutte le zone vocate dell’Umbria, le tartufaie venivano affittate al miglior offerente ed i ricavi venivano poi reinvestiti in servizi collettivi. Così il tartufo assunse anche un ruolo sociale: divenne un segno tangibile dell’identità stessa del territorio. Un cibo prezioso, capace di riunire la gente, non solo a tavola.
In molti casi gli abitanti di Norcia e dei territori circostanti cedettero il diritto di escavazione alla Chiesa, in cambio della esenzione completa delle tasse oppure per assicurarsi dei servizi religiosi. La salute, come ricordano i proverbi, è la cosa più importante. E grazie ai tartufi gli abitanti di Sellano per lungo tempo pagarono i servizi medici, veterinari ed ostetrici. Senza dimenticare di scambiare il privilegio del “diritto di cava” con la cancellazione della odiosa tassa sul bestiame. La fama dei giacimenti di tartufo dell’Umbria aveva travalicato i confini del territorio. La conferma letteraria arriva dai versi di Pierfrancesco Giustolo, l’umanista spoletino, nato nel 1440, che per anni servì Cesare Borgia e tra una trattativa diplomatica e l’altra trovò anche il tempo di scrivere il De Croci Cultu, un poemetto sullo zafferano, nel quale, parlando della sua terra, ricordava con fierezza:
“E di tartufi abbonda/che di sovente col verace grifo/scava la porca la non rara prole”.
Zafferano e tartufi erano i gioielli alimentari che le città dell’Umbria offrivano come graditissimi doni nelle complesse schermaglie diplomatiche tra i signori del Rinascimento, quando l’assassinio era legalizzato pure a tavola ed erano necessari gli assaggiatori di professione per poi apprezzare, con la dovuta calma, i piaceri del cibo. In mancanza di veleni, di fronte a tanta abbondanza, c’era però anche il rischio di morire di indigestione.
Si dice che Lucrezia Borgia, signora di Spoleto e di Foligno, che soggiornò in Umbria almeno tre anni, amasse particolarmente i tartufi anche per le note virtù afrodisiache. La storia la ricorda come una irresistibile seduttrice. Forse non era così bella. Morì a meno di 40 anni, dopo otto parti ed una vita ricca di colpi di scena. Ma la sua passione per i preziosi tuberi contribuì ad alimentare la leggenda erotica del nobile fungo ipogeo. I sudditi spoletini la accolsero nella munita Rocca di Albornoz con un pranzo memorabile, di 14 portate quasi tutte a base di tartufo. E così, per i ricchi dell’epoca, il tartufo diventò in fretta un vero “status symbol”. Con l’imprimatur scientifico che già da tempo aveva dato Platina:
“È un eccitante della lussuria. Perciò è servito frequentemente nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”.
Insieme a lui e dopo di lui, tutti i medici italiani del tempo concordavano sul potere afrodisiaco dei tartufi.