Le gabelle sul tartufo – storia

Le gabelle sul tartufo

Le gabelle sul tartufo – Il termine gabella indicava, nel diritto tributario all’origine in Francia e in Italia, le imposte indirette sugli scambi e sui consumi di merci. Erano riscosse da esattori particolarmente invisi alla popolazione, i gabellieri, figura a metà fra l’ufficiale pubblico e il libero concessionario in proprio.

Le gabelle sui generi alimentari di prima necessità (grano ecc.) erano spesso applicate in maniera onerosa ed abusiva. Tristemente famosa era la gabella sul sale, istituita in Francia nel XIV secolo. La gabella emigrationis era la tassa corrisposta da un emigrante per il capitale che portava con sé. La gabella hereditatis era la tassa dovuta per mandare all’estero un dono o un’eredità.

In un’antica raccolta del 1791 (Tariffa delle gabelle per Pistoia) viene indicato che per una libra di tartufi (circa 453,592 gr) bisognava pagare 18 lire.

In un manoscritto del 1571 la Communitas di Castrum Valli (l’antico nome del paese Vallo di Nera) introita 1 fiorino, 7 baiocchi e 2 quattrini a saldo del cottimo delle tartufaie. Sempre in quegli anni a Vallo veniva imposta una gabella per la compravendita dei tartufi. Nel XVII secolo, secondo quanto scritto nelle Riformanze vallane, la Comunità donava al Cardinal Cesi d’Acquasparta, protettore del castello di Vallo presso la Santa Sede, svariate libbre di tartufi neri insieme a una decina di prosciutti. I pregevoli tartufi di Vallo, in quegli anni, venivano acquistati anche dal Comune di Spoleto quando la città doveva omaggiare ospiti illustri.

La presenza di estese cave di tartufo, chiamate localmente tratufanare, era tutelata negli Statuti comunali del 1563, vietandone l’uso ai forestieri e condannando chi eventualmente vi avesse recato danni.

Nell’ordinamento finanziario di Spoleto dell’epoca comunale, già compaiono i ‘Tratufani’, come appare nella «Tabula exitus, expensae et introitus » del 26 agosto 1400 (Salzano 1941).
I tartufi risultano compresi nel repertorio delle merci di ‘Gabella delle porte’ assoggettati, all’entrata e all’uscita del territorio, ad una imposizione di ‘8 soldi’ per 100 libre (33 Kg) e ad un ‘denaro per libra’, dazio tenue rispetto alle altre merci (3 denari per ogni ‘paro’ di piccioni), a dimostrazione che erano considerati mercé di largo smercio. Lo stesso Salzano, infatti, afferma: ‘Ma da un esame della gabella delle porte si può concludere che il comune favoriva anche l’esportazione di pecore, capre e castrati, di pellami di varia specie, di carta pecorina, di formaggi pecorini, di guado, di maiali, di zafferano, di tartufi, di fave, di orzo, di spelta’. II barone Antonio Ancaiani, nel suo volumetto sul ‘Commercio attivo e passivo della città di Spoleto’ pubblicato nel 1672, rivela che nel 1600 i ‘corrieri’ della Serenissima Repubblica di Venezia facevano sosta, tornando da Roma, alla montagna di Somma (Spoleto) per l’acquisto di grande quantità di tartufi, e aggiunge:

‘Questo frutto in tutta Italia, a pochi paesi da Dio è stato conceduto; et quelli delle nostre montagne quando sono arrivati alla maturazione sono più odorosi e gustosi degli altri paesi, che perciò tanto in Firenze che in Venezia sono molto cercati’.

Più tardi, nel 1873, il Comizio Agrario di Spoleto, in un rapporto al Giornale Agrario Italiano , afferma:
‘…nel mercato di Spoleto quest’anno si sono venduti oltre 30.000 Kg. di tartufi, dai quali si è  ottenuta una rendita di mezzo milione di lire; e l’Umbria è al primo posto, seguita dal Piemonte con 27.000 Kg., dal Veneto con 11.000, dall’Emilia con 8.000, dalla Toscana con 2.000 chilogrammi annui’.

Fonti: Tariffa delle gabelle per Pistoia – spoleto – wikipedia – tuttoggi