Pietra fungaia e tartufi geneticamente modificati

Pietra fungaia e tartufi geneticamente modificati

Pietra fungaia – Polyporus tuberaster (Jacq.:Fr.)Fr., volgarmente noto come pietra fungaia, è un fungo saprofita conosciuto fin dall’antichità. Ha la caratteristica di formare uno sclerozio anche di grandi dimensioni, si rinviene prevalentemente nelle faggete dell’Italia centro meridionale. Lo sclerozio (sarebbe meglio parlare di pseudo sclerozio) è formato dal micelio che accrescendosi ingloba le particelle terrose dando origine a un ammasso duro e globoso formato da terra, lettiera e micelio. Periodicamente fruttifica dando origine a sporocarpi muniti di gambo e cappello. Il gambo centrale o laterale è corto e robusto, il cappello più o meno circolare con diametro anche superiore a 10cm., di colore crema ocra, è lacerato in scaglie più o meno fibrose. In passato gli sclerozi venivano conservati in luogo fresco e umido per indurre la formazione dei carpofori commestibili anche se di qualità scadente.
In un qualsiasi corso di micologia, Polyporus tuberaster di solito, viene liquidato con queste scarne informazioni, allora perché parlarne?
Tutto ha inizio da un comunicato dell’ANSA delle 19,09 del 17 febbraio 2006, sul sito Ansa.it nella sezione “News – In primo piano” si legge “TROVATO A RIETI IL TARTUFO PIÙ GRANDE D’ITALIA, PESA 9 KG. Roma – Pesa 9 chilogrammi, è nero ed è uno dei nove tipi di tartufi italiani commestibili, ma sembra essere modificato geneticamente. E’ stato ritrovato oggi, sotto la neve del Terminillo, a 1.300 metri di altezza, nel comune di Cantalice, in provincia di Rieti. Lo rende noto il presidente dei tartuficoltori europei Domenico Biagini.

«Sembra essere frutto di una mutazione genetica – ha spiegato Biagini- anche perché il tartufo più grande trovato finora in Italia, risale al 1954, a più di 20 anni fa e pesava 2 Kg e 200 gr. Il tartufo trovato oggi, sotto le nevi del Terminillo, invece pesa ben 9 Kg, ed è stato portato subito al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Perugia, dove è già stato analizzato al microscopio. Per l’analisi molecolare – ha aggiunto- ci vorranno più giorni ma possiamo già considerarlo il primo esempio di mutazione genetica».

9 kgLa notizia deve essere stata ripresa dai mezzi di informazione perché dal sabato mattina e nei giorni successivi, sono stata subissata da richieste di informazioni da amici e colleghi che si interessano di tartufo.
Tutta la questione puzzava di bufala lontano un miglio ma la fonte, l’Ansa, e la citazione del CNR e del presidente europeo dei tartuficoltori mi hanno suscitato qualche perplessità. Scattata la molla della curiosità, è’ stato facile reperire le foto del “tartufo” da persone che hanno assistito al ritrovamento e il lunedì successivo, sul desktop del mio computer campeggiava l’immagine di un signore dalla faccia sorridente con in mano uno sclerozio di pietra fungaia: svelato il mistero.
La storia ha avuto un’appendice: il 26 di febbraio, alla “Mostra Mercato Internazionale Tartufo nero pregiato di Norcia e dei Prodotti Tipici della Valnerina” nello stend di una delle maggiori industrie del settore, faceva bella mostra di se la pietra fungaia del Terminillo.Un pò ammaccata e disidrata non assomigliava per niente a un tartufo eppure tutti ne parlavano stupiti e ammirati, tra gli altri, un alto funzionario, capofila di un progetto che si occupa di rilanciare la tartuficoltura in Umbria scuoteva la testa beato ripetendo: quante sorprese ancora ci riservano i tartufi!
Conclusione: nei miei corsi di micologia non liquiderò mai più una specie come semplice curiosità micologica perché da un momento all’altro può salire alla ribalta delle cronache e contribuire a creare una leggenda metropolitana o meglio silvana. Sono sicura che del tartufo del Terminillo di 9 kg si continuerà a parlare a lungo nonostante qualsiasi smentita.

Articolo scritto  da GABRIELLA DI MASSIMO

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