Continua il processo al falso tartufo d’Alba

 Continua il processo al falso tartufo d’Alba

Continua il processo al falso tartufo d’Alba – Una manciata di commercianti sotto processo perché accusati di aver venduto dei tartufi come “bianco d’Alba” avendoli invece comprati da ditte di mezza Italia e anche oltre, come nel caso di una società con sede in Croazia. E’ iniziato in tribunale, davanti al giudice Bosticco il dibattimento che vede coinvolti cinque noti commercianti albesi e l’astigiano Sandrino Romanelli; devono difendersi dalle accuse che sono state rivolte loro dalla pubblica accusa sulla base di una lunga indagine della Guardia Forestale di Asti partita con i controlli alla fiera del

tartufo di Asti del novembre 2011. Quelle divise verdi fra i banchetti all’ombra di San Secondo scatenarono un vero putiferio, con proteste che provennero da più parti, compreso il mondo politico che vide rovinata così una giornata da sempre vocata alla promozione dell’immagine di Asti, per una volta in concorrenza con quella più consolidata di Alba in fatto di tartufi.

In quell’occasione vennero sequestrati documenti di acquisto e di vendita dei tartufi e poi gli accertamenti proseguirono nelle settimane successive, sotto coordinamento della Procura di Alba. Alla fine in tanti finirono nella rete: 14 commercianti, la posizione di alcuni dei quali, però venne stralciata e diede inizio ad altri procedimenti. Quello che è iniziato nelle aule di Asti è stato ricostruito nella testimonianza dell’ispettore (ora in congedo) della Forestale di Asti Renato Diodà. Imputato per imputato, Diodà ha raccontato che l’inchiesta nacque sull’onda delle norme di tracciabilità dei prodotti e di contrasto alle frodi. Per ogni commerciante controllato, sono stati comparati i documenti di acquisto dei tartufi e quelli di vendita. Gli acquisti erano fatti da ditte di Bolzano, Avellino, Bologna, Perugia, Potenza, Milano, L’Aquila, e in un caso anche dalla Croazia; oltre alle autofatture in cui non è richiesta l’indicazione della provenienza del prodotto.

Nelle fatture di vendita ad altri commercianti e ristoranti, era sempre indicata la denominazione di tartufo bianco d’Alba o descrizioni similari. Secondo l’ipotesi accusatoria qui sta il reato: aver venduto per tartufo bianco d’Alba e dunque a prezzi molto alti prodotti che invece provenivano da altre parti d’Italia o addirittura dall’estero ed erano molto meno pregiati di quelli per i quali si spacciavano. A fare la “domanda delle domande” all’ispettore della Forestale è stato l’avvocato Lattanzio, difensore di Romanelli che, fra le sue fatture di vendita, ha il prestigioso ristorante San Domenico di New York e aveva come quasi unico fornitore un cercatore astigiano ora scomparso. «Ma voi avete accertato che i tartufi acquistati in giro per l’Italia fossero gli stessi poi venduti come tartufo bianco d’Alba?».

«I tartufi non hanno targa, impossibile fare questo riscontro. Il nostro è stato un lavoro sulla base della contabilità e delle descrizioni fatte nelle fatture. Gli ulteriori riscontri sono venuti dalle deposizioni di compratori e venditori». Fra gli altri testimoni sentiti anche due ristoratori emiliani che hanno acquistato da un commerciante albese convinti di mettere in tavola tartufo bianco d’Alba e uno degli organizzatori della famosa asta mondiale del tartufo che si svolge nella capitale langarola con una risonanza da grande evento. Anche all’organizzazione sarebbero stati venduti tartufi bianchi provenienti da zone non langarole. «A noi non importa da dove vengano -– è stata la sua deposizione sintetizzata – ogni tartufo viene sottoposto al severo giudizio di un’apposita commissione e solo se ne supera l’esame organolettico e di pregevolezza può essere messo all’asta». Il processo riprenderà a fine ottobre.

Fonte:lanuovaprovincia.it

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