Una pepita d’oro nella terra : Racconto

Una pepita d’oro nella terra : Racconto

Una pepita d’oro nella terra – <<Vidi un uomo piccolino , che teneva un cane al guinzaglio>>

Erano tutti poveri, ma di una dignità che confinava spesso con la superbia – Un giorno si seppe che quella pianura brulla nutriva frutti prelibati e preziosi: tartufi

Questa novella è tratta dal bel libro -“L’oro della mia valle” , ricordo di un tartufaio di Michele Fracchia, edito dalla E.L.E., Torino. 1980

Paesaggio albese: colline . che si rinserrano quattro a quattro per generare oasi di verde, al di là delle quali gli uomini si riconoscono appena nella parlata dialettale.

Ogni valle ha una sua leggenda, una sua storia.
L’ampia distesa, fasciata di colline, era divisa in piccoli lotti: ognuno di essi aveva un proprietario.
Quanto erano piccoli quegli appezzamenti di terreno! Sì e no quattro lenzuola messe assieme! 
D’estate i prati e i campi brulicavano di gente vestita a vivaci colori. C’erano i possidenti più facoltosi e i meno abbienti: erano tutti poveri. Un giorno si seppe — e fu una rivelazione—che quella terra brulla nascondeva dell’oro, imprigionava ricchezza, nutriva frutti prelibati e preziosi: i tartufi….
Ero intento a riassettare una conigliera, addossata alla parete esterna del mio cascinale, quando mi sentii chiamare dal fondo del cortile.
— Ehi, padrone, posso entrare nel vostro recinto?
Mi volsi di scatto mentre Mir, un bastardo di appena due anni si mise ad abbaiare furiosamente. Vidi un uomo Piccolino, vestito con gli abiti della festa, che teneva un cane al guinzaglio. Di primo credetti che fosse il notaio del paese vicino.
— Venga, venga pure avanti signor notaio —dissi ad alta voce tornando al mio lavoro. Quando mi volsi e vidi che non si trattava del notaio, portai istintivamente la mano al trincetto: non si poteva mai essere sicuri di nessuno in quella casupola sperduta sul limitare del bosco. Il contegno pacifico dell’ uomo mi rincuorò.
— Volevo chiederle, buon uomo, — iniziò a dire quel signore vestito di scuro — se mi sarebbe consentito di dormire al riparo sotto il portico del suo cascinale. Trasalii. Imbruniva. Una persona cosi distinta, cosi ben vestita, dormire sotto il portico del mio cascinale!!
— Ma perché non è sceso in paese — sbottai — laggiù c’è l’osteria.
— Non sono sceso al paese —prosegui—perché mi preme scendere a valle domattina di buon’ora. Voglio mettere alla prova questo cane alla ricerca dei tartufi
«Tartufi?—pensai — costui dev’essere un professore perché ama troppo spesso pronunciare parole difficili».
Mia madre intanto, che aveva afferrato le prime battute del dialogo, aveva abbandonato la polenta a scoppiettare sul fuoco ed era uscita in cortile con le mani sui fianchi.
— Fallo entrare, disse, sembra una brava persona. Una fetta di polenta e una gamba di coniglio ci sono sempre per i galantuomini.
L’uomo si tolse il cappello (proprio come faceva il notaio quando entrava a casa nostra), legò il cane a un chiodo che serviva per appendere i conigli da scorticare, si levò le scarpe sull’orlo dello scalino ed entrò. 
Lo invitai a sedere al desco. Mir mugolava vicino al fuoco. Caricai il fucile da caccia perché, da quando avevo rinvenuto mio padre legato a un albero e i cassetti vuoti in cucina, avevo imparato a diffidare degli intrusi.
—Non si fida di me? —domandò l’uomo.
— No! Non mi fido di nessuno! Qui siamo tutti uguali, ma uno teme l’altro.
— Capisco — interloquì il signore — ma non vedo la necessità di affannarsi tanto quando la terrà qui è cosi ricca che basterebbe avere un cane per diventare proprietari di dieci ettari di terreno, perlomeno.
— Come avete detto? Basta un cane per diventare proprietari?! Io il cane c’è l’ho già: eccolo qui! Mir, confessa a questo signore che non mi hai mai fruttato niente e che ti addormenti, mentre quelli delle cascine vicine ti soffiano le galline sotto i baffi!
Chi l’avrebbe mal detto che Mir sarebbe diventato il più grande cane da tartufi della zona? L’uomo accarezzò il cane a lungo, quasi avesse voluto scusarlo della sua costante negligenza.
— Questo cane è un portento! —disse – se crede, lo compro subito. Sono disposto a pagarglielo fior di quattrini.
Il pensiero che i suoi biglietti di banca fossero falsi mi diede la nausea. L’anno addietro, un commerciante di legnami che si era spinto fin lassù, mi aveva pagato la legna con banconote per metà false!
—Tenga pure i suoi soldi. lo tengo il mio cane e lei si tenga il suo. Intanto, né l’uno né l’altro sarebbero capaci di garantirmi dai ladri le poche galline che tengo nel pollaio.
— Un momento — m’interruppe l’uomo – il mio cane cerca tartufi e non i ladri! Un solo ettogrammo di tartufi vale due galline, perlomeno!
—Come ha detto, signore? — interloquii con voce preoccupata — Un etto di., tartufi..? Ma che cosa sono?
Gli occhi dello sconosciuto ebbero uno strano bagliore. Mi guardò con uno strano sorriso. Sprofondò una mano nella tasca e la ritrasse chiusa, religiosamente, come se avesse imprigionato una cosa viva. Come la dischiuse, apparve un frutto strano. Non era una patata. Era un frutto rotondeggiante, ricoperto in parte da un fitto strato di terriccio. Era bitorzoluto; pesava un centinaio di granimi. Mi sorprese il suo profumo…
Quella sera la cena fu interrotta a metà, perché l’uomo si mise a parlare di cose troppo interessanti. Seppi che era venuto dalla città appositamente per andare in cerca di tartufi. La valle, la mia valle, si sarebbe prestata ottimamente al suo scopo, perché ubertosa e popolata di pioppi e di querce. Fini di raccontare che era molto tardi. Mir sonnecchiava col muso appoggiato alle mie ginocchia.
Quella sera io e lo sconosciuto ci appisolammo con la testa penzoloni sul petto.
Mi svegliò il canto del gallo. Mir stava ancora dormendo, accovacciato ai miei piedi col muso intrufolato fra le zampe pelose. Nel camino il fuoco era spento. Il distinto sconosciuto era scomparso. Mi alzai di scatto, raccattando a terra la doppietta che mi era caduta nel sonno. Come aprii, la pesante porta della cucina, una folata di aria umida m’avvolse. Piovigginava. Anche Lilli era scomparso. Attraversai il cortile fangoso ed entrai sotto il porticato. Su un giaciglio stretto quanto un grembiule, rannicchiati, lo sconosciuto e Lilli dormivano. Non avrei mai immaginato che il distinto signore avesse potuto prendere sonno in simile asilo. Era la prima volta che dormiva per terra? L’arrivo improvviso di Mir mi distolse dalle mie considerazioni. Il cane mi si avvicinò. Dal modo con cui mi guardava compresi che voleva svegliare il suo amico. Gli detti il permesso. Mir si avventò sulla bestia giocherellando, finché Lilli fu completamente sveglio. Anche lo sconosciuto si svegliò, salutandomi con un sorriso amaro.
—Ho dormito troppo—mi disse quando fu in piedi — avrei desiderato scendere di buon mattino a valle per vedere il cane al lavoro. 
— Sono appena appena le sei risposi e il sacrestano non ha tirato ancora le campane per la Messa; di qui si sentono bene, come se fossero in casa.
L’uomo divise con me una pagnotta di pane bigio e mostrò di gradire in modo particolare dei grappoli d’uva appassita. Durante la colazione mi parlò della sua professione (era dottore in medicina), della sua passione per la ricerca dei tartufi. Gli piaceva girovagare per le vallate, anche sotto la pioggia, a pochi passi dal suo cane. Lo affascinavano i frutti miracolosi dal sapore indefinibile di aglio e tuberosi.
Dopo colazione scendemmo a valle in pochi minuti. La nebbia era fitta, la visibilità scarsa. Lilli si perdette in quella massa di fumo umido abbaiando; Mir mi seguiva a pochi passi con le orecchie penzoloni. 
Non erano passati che pochi minuti allorché sentimmo Lilli abbaiare furiosamente. Il dottore si mise a correre e scomparve nella nebbia. Mir ed io lo seguimmo accelerando il passo. Trovammo il dottore inginocchiato per terra che teneva Lilli stretto per il guinzaglio. Il cane scavava con le zampe anteriori eccitato. La terra sollevata dalle affannose zampate era umida e fredda. Mi accostai al dottore.
Guardammo insieme nella buca: dal terriccio smosso spuntava una protuberanza gialla. Aveva un profumo intenso che dava alla testa, come il profumo delle tuberose.
— Ecco il vostro oro. Questo tartufo può valere anche più di due galline. —Cosi dicendo, mi porse il frutto invitandomi ad esaminarlo più da vicino.
Fu quella la prima volta che vidi il fungo-tubero color dell’oro griggio.

Fonte: Stampa sera

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