Pinoli: un motivo in più per coltivare il Bianchetto?

Pinoli: un motivo in più per coltivare il Bianchetto?

Pinoli: un motivo in più per coltivare il Bianchetto? – I terreni destinati alla tartuficoltura sono per la maggior parte marginali per colpa dei lungi tempi di attesa prima della messa in produzione. Questo atteggiamento ha fatto si che negli anni nazioni come la Francia e la Spagna diventassero punti di riferimento per la coltivazione del Melanosporum dato che loro hanno dedicato intere aree alla produzione dei tartufi, e non solo quelle scartate dalla semina. Un atteggiamento poco lungimirante da parte di noi Italiani che così facendo non solo pregiudichiamo la multi-colturalità rappresentata ad esempio dalla produzione della lavanda o dell’asparago selvatico o dall‘innesto di castagno su quercia, colture queste che si affiancano egregiamente alla produzione di svariate specie di tartufi. Ma a risentirne sono anche, e forse soprattutto, colture in cui siamo storicamente i numeri uno, ma di cui, da qualche anno a questa parte dobbiamo rifornirci dall’estero. Sto parlando di frutti come le nocciole ed i Pinoli ed è di quest’ultimo di cui andremo a parlare oggi.

I pinoli sono i semi eduli di alcune specie di pini. Di colore bianco giallognolo e di forma allungata, sono usati soprattutto nella cucina tradizionale.
I pinoli sono essenziali per il pesto e svariati altri piatti tra cui le torte, come ad esempio il castagnaccio. Le ricette più antiche sono originarie delle aree in cui crescono i due pini europei dai quali si ricavano i pinoli: ad esempio lo strudel era anticamente realizzato coi semi del pino cembro (specie tipica delle alte montagne trentine), mentre il pesto da quelli del pino domestico. I pinoli sono ricchi di vitamine (in particolare E, B e PP), calcio, magnesio e ferro.

Quella del pinolo è certamente una coltura di nicchia, ma le richieste del mercato in crescita e l’alto prezzo di vendita al dettaglio ne fanno una coltura interessante. Anche per i tartuficoltori del Tuber Borchii, prodotto dall’albero simbionte Pinus Pinea detto anche Pino Domestico che a onor del vero entra in simbiosi anche con: il tuber magnatum pico, il melanosporum e l’Aestivum.

“La piantumazione viene fatta con un numero elevato di piante, tra le 1.100 e le 1.600 a seconda del sesto di impianto, che poi verranno selezionate nel corso degli anni attraverso successivi sfolli, interventi intercalari che si fanno prima dei 15 anni, e diradamenti, almeno un paio a partire da 15-20 anni”, spiega ad AgroNotizie Marco Paci, professore dell’Università degli studi di Firenze. “A 35-40 anni la pineta deve avere la densità definitiva, da 120 a 250 piante per ettaro”.

Sfortunatamente il pino italiano comincia a produrre frutti intorno al decimo anno di età e il picco massimo si ha tra il quarantesimo e l’ottantesimo anno.

La raccolta delle pigne inizia in ottobre-novembre e prosegue fino a giugno. La produttività, come detto, è molto variabile e dipende dalla tipologia di terreno, dalla densità di impianto, dall’età delle piante, dall’andamento climatico, dalla disponibilità di acqua e dalla presenza di parassiti. Una pineta in salute e nel pieno della sua produttività arriva a generare 7-8 tonnellate di pigne all’anno ad ettaro e da un albero si ricavano in media 1,2 chili di pinoli.
Fonte: agronotizie