Alla scoperta del cane riccio Sanminiatese

Alla scoperta del cane riccio Sanminiatese

Alla scoperta del cane riccio Sanminiatese  – Non è facile descrivere questo cane, le cui origini risalgono agli inizi del ‘900. Astuti tartufai del sanminiatese hanno permesso che questo incrocio giungesse fino a noi.
Come sia nata con precisione non è dato saperlo, le teorie sono molte, così come le notizie narrate dai “vecchi” tartufai.

Ebbene in gioco entra il lagotto romagnolo portato a quanto sembra dai romagnoli che, per lavoro, stazionavano nel sanminiatese. Questi nuovi cani presenti nel territorio finirono inevitabilmente per incrociarsi coi meticci del luogo che fino ad allora erano gli attori protagonisti della cerca dei tartufi nel sanminiatese.

Da questi primi incroci lagotto-meticcio (di ogni genere) inizia a diffondersi un cane che poi, molto probabilmente, ha iniziato ad incrociarsi con cani da penna, probabilmente Setter o Breton.
Il tartufaio di un tempo si sa come era, molto riservato, chiuso, schivo, diffidente ecc. Il ricavato della vendita dei tartufi andava ad incidere in modo sostanziale nell’economia domestica, era quindi un’attività da preservare e mantenere.
Quello che avvenne probabilmente fu una sorta di diversificazione di questi cani, dando origine a più linee di sangue, proprio per non voler cedere la propria “razza” agli altri.
I caratteri che interessavano un po’ a tutti hanno comunque fatto si che si delineasse una fisionomia comune a tutti.
Adesso cosa accade a riguardo?
Esistono più fenotipi, derivanti probabilmente da questa riservatezza “genetica” del vecchio tartufaio. Ci sono di taglia piccola a pelo raso o ondulato, taglia più alta ma con zampe più corte, taglia media con lunghe zampe.
Quello però che accumuna tutti questi meticci sono alcuni particolari che sapientemente e per comodo ci hanno tramandato i vecchi. Tutti hanno il musetto a pelo raso, hanno le zampe a pelo corto e fisicamente portati alla cerca nel folto della macchia. Questi erano, e per molti sono ancora, dei caratteri fondamentali da dover portare avanti.
Viene definita una quasi razza; da genitori selezionati nasceranno sicuramente cuccioli con queste caratteristiche, cambia il mantello, che può variare dal pelo raso all’ondulato lungo, dal bianco candido al pezzato, quasi sempre nero e a volte rosso.

Saggi i “vecchi”, a tartufi si va di notte, col buio, il bosco bagnato e il freddo. Serve un cane robusto, col pelo lungo ma non riccio che da problemi, il musetto e le zampe pulite per veder bene cosa succede sotto al naso. I riccioli (cosi definiti i lagotti), si riempono di pallini, di spini, si inzuppano d’acqua e non si vedono il muso e le zampe. Questo era, ed è ancora per diversi, il pensiero dei cani da tartufo nel sanminiatese. Per non parlare dei braccoidi…. neanche regalato!! non se ne parla nemmeno…

La sua cerca è di solito brillante, non velocissima ma continua, costante, al passo svelto o piccolo trotto. I maschi sono un po’ “testoni”, cani di carattere a volte anche molto forte, le femmine molto più pacate.

Se da una parte la sportività nella cerca dei tartufi ha portato a generazioni di tartufai moderni con diversi pregi rispetto al passato, siamo di fronte ad una perdita sostanziale, la praticità del cane al di là delle mode o degli standard di razza. Questo sta portando ad una diminuzione del meticcio sanminiatese e ad una serie di “neo-meticci”. I nuovi tartufai non tengono conto delle vecchie peculiarità per cui si è evoluta questa “quasi-razza”.

Fonte: TartufoSanminiato