Renato Tozzi, lo chef che fece la storia del tartufo

 

 Il ricordo di Renato Tozzi, re della cucina al tartufo: fu lui a ideare la Mostra mercato di San Miniato

Per capire re della cucina al tartufo: fu lui a ideare la Mostra mercato oggi, a distanza di tanti anni cos’è stata la cucina di Renato Tozzi e come aveva trasformato il Miravalle (albergo-ristorante nel cuore di San Miniato) in un gioiello della gastronomia italiana, è sufficiente riportare cosa annotò il più grande giornalista italiano sul registro di sala dove i clienti potevano lasciare i commenti. “Vorrei saper scrivere come il Tozzi sa cucinare”. Firmato Indro Montanelli Capodanno ’66. Seguono tante altre firme

Gli fece eco alcuni mesi dopo il 4 giugno 1966 il sindaco di Milano, il “sanminiatese” Pietro Bucalossi: “Vorrei saper amministrare come il Tozzi sa cucinare”.

Oppure quel “Penne mondiali e carrello poetico dei piatti di Tozzi io sono fanatico. Con molti complimenti per l’ospitalità e la buona cucina” firmato Giulio Bosetti, o il garbo con cui gli si rivolgeva il regista Ignazio Silone “Al signor Tozzi imploro comprensione per il chiasso e la confusione che la rappresentazione del mio lavoro ha portato nel suo dominio così bello”.

Una proposta gastronomica di alta qualità nella quale Tozzi aveva messo a regime in cucina tutta la potenzialità di un territorio proiettandolo in una dimensione internazionale. E quando si parla del tartufo, come il Re della tavola, è indispensabile pensare al Tozzi come il vero Re della cucina e della cucina al tartufo. “Caro Tozzi – scrive il 15 dicembre 1975 il delegato provinciale dell’Accademia Italiana della Cucina Luciano Chiti – la riunione conviviale che l’Accademia ha tenuto presso di Lei il giorno 6 scorso è stata l’unica classificata con il massimo punteggio, vale a dire 10. Con questo Le ho detto tutto perchè nessuno, in due anni di attività della delegazione, era riuscito a tanto. E’ stata una “tartufata” indimenticabile!

Giudizi e commenti da far impallidire gli chef stellati di oggi. Per questi e per tanti altri motivi la cucina del Miravalle negli anni di Tozzi ha fatto la storia della gastronomia e la sua esperienza è da annoverare a pieno titolo in quel patrimonio culturale della Toscana e dell’Italia. A corredo della richiesta che l’Associazione Nazionale Città del Tartufo sta preparando per far inserire il tartufo tra i beni immateriali dell’Unesco c’è anche, in un ricordo della moglie Rosaura, quel Risotto alla Miravalle (al tartufo) che lanciò la festa del tartufo nel 1969. Tozzi era nato a Londra il 30 giugno 1915, dopo aver lavorato per anni al Savoy, fatto esperienza e conosciuto la cucina internazionale, torna a San Miniato. Nel 1962 rileva il ristorante Miravalle e lo trasforma in uno dei gioielli della gastronomia italiana facendo conoscere in tutto il mondo i suoi piatti. E’ grazie alla sua intuizione che nasce la festa del tartufo nel 1969.

Il risotto alla Miravalle e il tacchino (o fagiano) tartufato conquistano riconoscimenti e premi all’Accademia della Cucina Italiana e diventano il biglietto da visita della cucina al tartufo.

Dice Mandorlini: “Ci voleva tutta la lungimiranza di una persona che conosceva e amava il proprio lavoro, con dedizione e competenza come è stato Renato Tozzi per immaginare, quando ancora non si parlava di tartufo e il pregiato fungo ipogeo prendeva la via dei commercianti di Alba, che quel frutto prezioso della terra avrebbe potuto essere volano di un territorio, quello delle Colline Sanminiatesi, e attrattiva gastronomica per migliaia e migliaia di visitatori e buongustai.

Una scommessa vinta, iniziata per convinzione, non per caso, con la certezza che quel profumo sopraffino e quel gusto così delicato avrebbero conquistato i palati più esigenti e stimolato la fantasia degli chef”.

Ma quali erano i segreti delle ricette? Rosaura (Diva) Tozzi, moglie di Renato. “Per fare il risotto alla Miravalle (al tartufo), si mette in una pirofila da forno, il burro, il riso, un po’ di brodo e mezza cipolla. Si gira ripetutamente, si copre e si mette in forno. Quando il brodo è stato ritirato vuol dire che siamo a metà cottura. Successivamente si mette nel tegame con burro tartufato e parmigiano.

Ovviamente è necessario che il brodo sia preparato bene e buono. Il tartufo era già preparato e messo nel congelatore, per cui bastava estrarlo per completare il piatto. Al termine veniva aggiunto il tartufo a scaglie senza riguardo cercando di fare il piatto più buono possibile. La lamellatura del tartufo, non si faceva però alla sagra ma solo a ristorante. Non era però solo un’operazione bella da vedere (la lamellatura) ma una vera e propria esigenza. All’inizio avevamo preparato appositi contenitori con i tartufi che mettevamo sui tavoli in modo che ogni cliente se ne potesse servire. Molte persone però se ne appropriavano indebitamente e se lo mettevano in tasca, per cui ci chiamavano per richiedercelo dicendo che ne avevamo messo troppo poco!

La faraona tartufata, con la variante di utilizzare il fagiano, quando si trovava, fu uno dei secondi che proponemmo e che ebbe molto successo. Preparavamo la faraona al cartoccio con pezzi e lamelle di tartufo collocate nel petto e in altri punti insieme ad alcuni condimenti. Poi lo avvolgevamo in una apposita carta da forno, una specie di cartoccio, prima di inserirla in una casseruola in forno. Una volta cotta veniva sporzionata e servita in sala davanti a tutti. Per i tacchini, le tacchinelle e le faraone il nostro fornitore era direttamente l’allevamento nei pressi di Canneto”.

Fonte:gonews.it