Cosa “nascondono” le etichette delle salse Tartufate?

Avete mai letto le etichette?

L’aroma naturale del tartufo è composto da tantissime componenti, che non si trovano nella maggior parte del prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati che invece utilizzano un aroma ottenuto in laboratorio per via sintetica. In laboratorio viene selezionata solo una delle componenti dell’aroma naturale, il cosiddetto “aroma d’impatto”, in grado di conferire al preparato un profumo e un sapore che assomiglia a quello naturale.

Questo è consentito dalla legge di riferimento che impedisce al consumatore finale di capire cosa sta acquistando, ma non è solo il tartufo a essere “contraffatto”. Alcuni esempi:

  • la fragola che si usa il furaneolo,
  • la cipolla il disolfuro di allilpropile,
  • il prezzemolo l’apiolo,
  • e molti altri.

L’aroma deriva da alcuni composti chimici volatili naturalmente presenti in certi prodotti, che conferiscono ai cibi quella precisa caratteristica sensoriale. È frutto della combinazione di odore e sapore. Laddove l’industria alimentare percepisce una debolezza degli ingredienti utilizzati, interviene aggiungendo aromi di sintesi che integrino il sapore magari perso durante la lavorazione industriale.

Quando si compra un alimento che richiama in qualche modo il tartufo, spesso si tratta di un cibo con un un aroma fatto in laboratorio. Il caso più scandaloso è quello del Tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) dove l’odore nei prodotti è dato dall’aroma di sintesi bismetiltiometano che dovrebbe rappresentare le 40 componenti del tartufo bianco. Questo aroma può essere estratto dal tartufo con costi elevati o prodotto in laboratorio a costi decisamente inferiori. Ad esempio, in alcuni passaggi della lavorazione del petrolio. Leggendo attentamente le etichette di questi vasetti, si nota che la percentuale di tartufo è davvero ridicola, quasi nulla.

Nella maggior parte dei casi la quantità del tartufo è dello 0,5% sul peso totale.

Questi piccoli quantitativi consentono ai produttori l’utilizzo dell’immagine del tartufo sulla confezione, rendendo il prodotto molto più costoso.

Se invece le etichette riportano la dicitura “condimento a base di tartufo bianco” è probabile trovare tra gli ingredienti una percentuale di tartufo bianco pari al 5%. Il resto è composto di altri tipi di tartufo di scarso valore commerciale, oppure: funghi, olive e altri composti in grado di  assorbire il bismetiltiometano che dà poi al prodotto il sapore del tartufo indicato nell’elenco degli ingredienti dietro la scritta “aroma”. Per esempio:

  • la robiola Osella al tartufo indica in etichetta la presenza del 5% di una crema che contiene  solo l’1,1% di tartufo,
  • il sugo alla norcina Fior Fiore di Coop indica in etichetta la presenza dell’1,3% di una crema composta al 75% di tartufo nero, ma entrambi contengono la scritta “aroma”.
  • La quantità di tartufo nei prodotti confezionati varia dallo 0,5% al 2-3% ed è trattato con aromi

Anche nei prodotti confezionati, come risotti o paste si trova l’aroma liofilizzato. Nel riso, ad esempio viene inserita una minima quantità di tartufo (dallo 0,5% al 2-3%)  preventivamente trattato con una generosa quantità di aroma di sintesi e poi liofilizzato. In questo modo  si può conferire all’intera confezione di risotto da 250 grammi il sapore del tartufo.

Il costo per il produttore è di pochi centesimi di euro, perché si scelgono scarti di tartufo estivo poco pregiato, e il risultato è garantito perché  il consumatore è convinto di  acquistare un “Risotto al tartufo” ed è disposto a pagare sei-sette volte in più rispetto al costo di un semplice riso bianco.

Ma il consumatore finale sa quale è il VERO sapore del tartufo? La risposta è NO altrimenti questi prodotti verrebbero lasciati sugli scaffali invece che acquistati rovinando un mercato di pregio e prestigio.

Fonte : Il fatto alimentare